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Autore Discussione: Il 1943 sotto le bombe  (Letto 54313 volte)
Rommel


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« inserita:: 04 Novembre 2005, 22:28:48 »

Nel Luglio del '43 in Sicilia sbarcano gli americani, a Gela i GI'S arrivano il 10 Luglio a villarosa nelle settimane successive iniziano a cadere le prime bombe molta gente si rifugia alle grotte nella zona stanzie, ....
raccontate il resto

chiedete ai nonni....e scrivete qui la continuazione
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« Risposta #1 inserita:: 29 Novembre 2005, 17:55:40 »

Dalle poche cose che mia nonna mi ha raccontato ricordo solo delle fuge verso la campagna quando cominciarono a cadere le bombe... e degli americani che festosi salutavano tutti!
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« Risposta #2 inserita:: 03 Dicembre 2005, 15:57:31 »

Bene, tutti andavano a rifurgiarsi dietro villarosa in contrada stanzie o dove oggi inizia il boschetto della stazione....
« Ultima modifica: 12 Luglio 2006, 14:32:40 da And » Registrato

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« Risposta #3 inserita:: 10 Luglio 2006, 22:22:41 »

I bombardamenti volevano colpire due batterie di contraerea tedesca poste al convento e al cimitero
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« Risposta #4 inserita:: 10 Luglio 2006, 22:57:39 »

Ammazza quante ne sai  Buono!
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« Risposta #5 inserita:: 13 Luglio 2006, 19:03:04 »

Beh, se indaghi scopri forse ho anche qualche foto su internet :-D
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« Risposta #6 inserita:: 03 Agosto 2006, 22:29:24 »

inoltre i bombardieri americani, volevano colpire il ponte e la stazione di villarosa, bombardata diverse volte anche nei giorni successivi.
Anche la stazione di imera veniva bombardata e a fortolesi che fa comune di villarosa la gente si rifugiava nelle gallerie della ferrovia.
 
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« Risposta #7 inserita:: 02 Novembre 2007, 19:38:02 »

chiedo al ns amico osvaldo che ha vissuto, forse, quei giorni in paese se ci racconta la sua storia
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« Risposta #8 inserita:: 06 Novembre 2007, 21:09:53 »

Cronaca d'una giornata del breve sfollamento dei Villarosani.

                                                                   12 LUGLIO 1943
Ho da poco comprato in contrada Quattro Aratati un pezzetto di terra sul quale sto facendo costruire una piccola casa.
Sono legato a questa zona per motivi sentimentali perché a 150 metri da lì e sulla stessa dorsale trascorsi, eccetto uno, i bei momenti della mia infanzia insieme coi miei cugini.
In quest’ultima primavera, in attesa della concessione edilizia, passavo il tempo a far qualcosa, quando attrasse la mia attenzione un aereo che volteggiava a bassa quota. Nulla di strano; solo che ad un tratto sentii percorrere un brivido per la mia schiena. Lì per lì non mi seppi spiegare questa strana percezione, quando il filo della memoria mi trascinò a 64 anni prima nella casetta a secco col tetto di canne ch’esisteva lì presso e e mi rividi disperato, in mutande, con un Crocifisso in mano e una coperta ripiegata in testa, a pregare sotto il crepitio delle mitragliatrici.
Eravamo alloggiati in quella campagna alla meglio dal sabato precedente; quella sera mio padre e mio zio, dalle voci che c’erano in giro, avevano intuito ch’era successo qualcosa di grave. Decisero che si andava in campagna; ognuno di noi aveva il fardello adatto all’età e alle capacità, con mia nonna sofferente e quattro bambini di cui due lattanti. Si andava ovviamente a piedi, l’auto allora l’avevano a Villarosa il tassista e forse si o forse no qualche figlio di papà. Si andava al buio e in silenzio; s’udiva monotono il rumore d’una lunga colonna d’autocarri militari italiani. I grandi chiedevano ai soldati che cosa era successo e tutti davano la stessa risposta: - Non sappiamo nulla, l’ordine è di andare verso est.
La domenica mattina per noi ragazzi fu un giorno di festa, mio zio aveva persino montato davanti all’uscio della casetta un telone che facesse ombra  ai bimbi; intanto i grandi si davano da fare a sistemare le poche cose nell’esiguo spazio.
Ritorniamo a lunedì 12 luglio, sesto compleanno di mio fratello. L’annuale avvenimento si solennizzava con un cono gelato, ovviamente solo per il festeggiato. Così mio fratello chiedeva insistentemente quando si andava in paese per il gelato d’obbligo.
A Villarosa ancora la guerra non l’avevamo vissuta, ma gli sfollati dalle grandi città raccontavano dei bombardamenti che si accanivano principalmente sulle  città portuali e sulle stazioni ferroviarie. Una certa signora Lisacchi, sfollata da Palermo e anziana come mia nonna, aveva detto che quando fioccavano le bombe circondavano il capo con un morbido cuscino. Io non capivo a cosa potesse servire un cuscino: lo capii solo da grande: poteva solo attutire la caduta di qualche calcinaccio e nulla più.
Nondimeno quella mattina, 12 luglio, dal momento che non ero arrivato a conquistare un cuscino mi arrangiai con un coperta, non si sa mai.
Aerei inglesi stavano bombardando e mitragliando una colonna di automezzi tedeschi, che come quelli italiani del sabato sera si dirigevano sempre verso est.
Molti i vicini che erano accampati intorno e senza casa vennero a rifugiarsi presso di noi. Lascio immaginare la disperazione e il pianto dei bambini, l’angoscia delle mamme rimaste sole in quanto gli uomini erano in paese a procacciare del cibo …
Un solo uomo se ne stava tranquillo seduto su una sedia. Faceva tanta rabbia alle donne che lo invitavano a dar qualche consiglio. Lui spiegò che era reduce dalla Russia perché ferito e mostrava alcune delle cicatrici sul braccio ancora rossastre e aggiungeva che per lui tutto quello che stava capitando era niente al confronto di quanto aveva provato. Si trattava del signor Calogero Casale, ex postino, scomparso qualche decennio fa, la cui moglie e figli sono in Villarosa.
Andiamo a mio padre e mio zio che si precipitarono verso la campagna consapevoli del pericolo che incombeva anche su di noi, molto vicini alla statale n.121: la preoccupazione era molto fondata perché ad incursione finita si trovò un grosso ramo dell’ulivo, che incombeva sulla casetta le cui mura seguivano la pendenza del terreno, tranciato di netto.
Appena fuori del paese, al bevaio, incontrarono piangente Serafino Russo, l’ex vigile. Mio padre gli andò incontro perché, a parte lo slancio umano verso una creatura disperata,  si trattava del figlio di sua cugina, il cui terreno per giunta era confinante con quello in cui ci trovavamo noi. Serafino singhiozzando spiegò che i suoi erano tutti morti: per fortuna era solamente sconvolto dalla gran paura, in realtà erano vivi ma al momento nessuno lo sapeva. I miei si precipitarono, con lo stato d’animo che lascio immaginare, per la trazzera sotto il bevaio,  scegliendo di fare un giro largo per evitare lo stradale martellato dagli aerei, lungo il vallone finirono alle Vignegrandi, al Cozzolampo e di qui alla casetta, dopo circa un’ora. Il primo ad arrivare fu mio padre ch’era più magro e più leggero, fece una rapida conta delle persone care e si buttò s’una sedia e a gesti rassicurò che mio zio sarebbe arrivato a poco.
A tempesta sedata fu mio fratello, convinto d'aver perso la sua speranza, a rompere il silenzio con una sconsolata frase passata subito al lessico familiare:
Ammèci di gelatu… bummi!
« Ultima modifica: 03 Dicembre 2007, 21:45:56 da osvaldo » Registrato

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« Risposta #9 inserita:: 06 Novembre 2007, 22:14:41 »

 Applauso

Grazie ancora per la testimonianza!
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« Risposta #10 inserita:: 06 Novembre 2007, 22:28:01 »

apprezzo molto la sua voglia e la capacità di raccontare quegli eventi.
grazie

riguardo gli sfollati ho un paio di documenti (lettere) di profughi che vivevano a villarosa da parenti, dopo il 45 partirono per roma...
ma è un'altra storia.
« Ultima modifica: 06 Novembre 2007, 22:31:26 da Rommel » Registrato

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« Risposta #11 inserita:: 06 Novembre 2007, 22:44:52 »

grazie osvaldo!
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« Risposta #12 inserita:: 06 Novembre 2007, 23:03:09 »

Grazie OSVALDO.
Mi è venuta la pelle d'oca ma ho anche sorriso alla fine!

E' incredibile come il Villarosano riesce a trovare una battuta del genere in simili situazioni Applauso
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« Risposta #13 inserita:: 07 Novembre 2007, 02:22:20 »

Ho avuto la stessa identica reazione di Jack Sparrow.

Osvaldo, la vostra reazione a questa battuta qual'è stata?
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« Risposta #14 inserita:: 07 Novembre 2007, 14:04:16 »

Mi vengono i brividi solo a pensare quello che hanno passato i nostri cari....
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