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Autore Discussione: Il 1943 sotto le bombe  (Letto 54318 volte)
osvaldo

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Messaggi: 232


« Risposta #75 inserita:: 29 Febbraio 2008, 20:52:00 »

    STORIA DI ALCUNE CASSE DI BOMBE E D’UNA NUOVA PICCOLA GRANDE SCUOLA

Quel mattino di luglio del ’43, rientrando dallo sfollamento, avevamo visto concludere lungo il nostro tragitto le ultime fasi del saccheggio dell’ ospedale militare sistemato nel palazzo scolastico “Silvio Pellico”, quando, già prossimi a casa, salendo dalla via Butera, assistemmo nel corso Regina Margherita ad un altro assalto ad un magazzino militare italiano, situato in un grande pianterreno di proprietà della famiglia Di Giugno,  di fronte all’attuale Banca San Paolo.
I nostri soldati avevano lasciato Villarosa in gran fretta, abbandonando l’ intero equipaggiamento che non sfuggì agli occhi vigili di chi sapeva approfittare di queste saporite occasioni.
A mia madre che qualcosa da quella roba l’avrebbe saputa ricavare, invogliò mio padre a seguire l’esempio di tutti gli altri. Egli s’avviò malvolentieri, ma per non esser di meno entrò e vide decine di persone che si spingevano l’un l’altro per raccogliere le ultime cianfrusaglie rimaste e cercavano fra delle casse, che deliberatamente ignoravano, oggetti come coperte, lenzuola e altre cose utili, che avevano visto in mano ai primi arrivati che di già avevano lasciato il campo.
Mio padre osservò per un istante quella scena senza prenderne parte e quando scrutò ben bene quelle cassette che nessuno degnava d’attenzione e che anzi venivano sballottate a destra e a manca, zitto zitto indietreggiò e riprese la via di casa: aveva scoperto che esse contenevano bombe a mano!
Era destino che proprio quelle casse di bombe dovevo incontrarle io alcuni anni dopo, per fortuna ancora senza danno.
Quanto segue lo sto inserendo per dare un’idea delle difficoltà in cui si doveva trovare l’Amministrazione provvisoria per mancanza di soldi e d’un’autorità militare che potesse disporre di artificieri.
Dove sistemare quelle bombe che giacevano in una casa di privati? Chi era in grado di farle brillare?
Non potevano nemmeno essere nascoste in qualche grotta perché si temeva che qualche incosciente le trafugasse… Così le bombe furono portate… alla Casa del Fascio, da poco ribattezzata Municipio. Furono sistemate in un angolo del vano terrano prospiciente piazza Umberto I, che era  stata la palestra annessa allo stesso Fascio.
Quelle bombe, mie vecchie conoscenze indirette e simbolo della guerra, stando lì si sarebbero incontrate qualche anno dopo con una scuola, simbolo di pace e civiltà.
Nell’anno scolastico 1944-45 fu aperta a Villarosa la prima scuola media della sua storia per iniziativa di un cittadino di Piazza Armerina, tale Carcione pure direttore del Collegio privato “Plutia” di quella città.
Prima d’allora chi voleva continuare gli studi oltre la quinta elementare doveva recarsi in città, già cominciando lì col sostenere gli esami di ammissione alla nuova scuola, che allora non era dell’obbligo.
La nuova istituzione fu una grande conquista sociale e civile perché i volenterosi poco abbienti potevano accedere finalmente agli studi, con il contributo dei genitori degli alunni che si facevano carico delle tasse scolastiche, che intanto venivano a costare molto meno che andare a vivere fuori Villarosa in stanza in famiglia o in collegio (Per inciso allora era pressochè impossibile fare il pendolare per Enna o Caltanissetta, come avviene oggi).
La nuova istituzione fu intitolata a “Giovanni Verga”. L’anno successivo il Comune rilevò tale scuola chiedendone la parifica, sempre col contributo degli utenti.
Nel secondo anno di vita della scuola, io frequentai la prima media. Questa era sistemata nei pianterreni dell’attuale Municipio. Quelle attrezzature ginniche della ex Casa del Fascio divennero palestra della scuola.
Insegnava educazione fisica, pur non avendone il titolo, il signor Giuseppe Bongiorno. Questi nel passato regime era stato un appassionato di sport e ricopriva un certa carica di “cadetto” e così fu chiamato per tutta la vita, u cadettu. (Sempre per inciso, fu lui il mio informatore del fatto che la ferita alla testa di Fifuzzu Lentini aveva tutte le caratteristiche di foro di pallottola di fucile e non di squarcio di bomba). In una zona del locale palestra trovai stipate quelle famose casse di bombe a mano che attendevano da anni d’essere rimosse dagli artificieri. A tenere lontani noi ragazzi dal pericolo, c’era sistemato un robusto bancone in legno, stretto e lungo, di quelli usati negli uffici per separare il pubblico dagli impiegati. Il professore per prima cosa ci teneva informati del pericolo che tale presenza costituiva e non ci faceva avvicinare in quella zona.
Un giorno capitò, non si potè mai appurare come avvenne il fatto, che quella barriera senza base d’appoggio idonea  rovinò paurosamente. Per un istante ci guardammo tra noi attoniti e quando vedemmo scolorarsi il viso al professore che era il nostro punto di riferimento, ne nacque un grande scompiglio e tutti scappammo via pestandoci l’un l’altro. L’episodio ci procurò solamente una gran paura, che però sortì un effetto positivo: le bombe furono portate via, finalmente.
Correva l’anno 1947. Quattro anni dopo l’ Invasione!
Ho voluto fare questa digressione per far capire lo stato di sconquasso che una guerra può causare non solo per le perdite umane, ma nella soluzione di problemi contingenti e vitali per i quali non si dovrebbe aspettare anni.
Nessuno come me, e tanti altri della mia generazione, può capire il valore immenso di una scuola in quel tempo. Questa è vera storia di Villarosa che rischia di perdersi. Oggi la scuola è una normalità e persino l’Università l’abbiamo a portata di… corriera.
Poi l’accostamento fra bombe e scuola vuole indurre, specialmente chi ha avuto la fortuna di non aver conosciuto da vicine le atrocità belliche, a meditare sul valore delle opere di pace rispetto a quelle di guerra.
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Rommel


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« Risposta #76 inserita:: 29 Febbraio 2008, 21:31:25 »

come sempre un bellissimo racconto
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