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| | |-+  Le poesie di Vincenzo De Simone
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Autore Discussione: Le poesie di Vincenzo De Simone  (Letto 53054 volte)
osvaldo

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« Risposta #45 inserita:: 01 Aprile 2008, 17:50:33 »

Il canto che segue non è di De Simone; è stato già inserito sul Muro da un utente ed è citato in "Bellarrosa, Uomo serio", a pag.149. Perciò lo voglio riproporre perchè esso è tipico della cultura mineraria, fatta anche di "vapparì e cutedda". Il titolo va interpretato, "alla maniera degli zolfatai".                                                     
                                                                                 
                                                       A LA SURFARARA
                                           'Nti na vanedda tignu 'na spiranza,
                                            ca lu me cori a tia sempiri penza;
                                            si cc'eni 'nquarcaduni ca s'avanza,
                                            vinissi 'nfacci a mia di prisenza;
                                            s'è camurrista, cci pirciu la panza,
                                            'n galera mi nni vaju all'accurrenza;
                                            ca 'nti sta manu tignu la lanza,
                                            e 'nti chist'antra, pistola e prisenza.
« Ultima modifica: 01 Aprile 2008, 18:01:52 da osvaldo » Registrato

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« Risposta #46 inserita:: 03 Aprile 2008, 20:54:21 »

ci spieghi osvaldo vappari e cutedda?
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« Risposta #47 inserita:: 04 Aprile 2008, 01:27:25 »

La scorsa domenica delle palme sono stata invitata ad un consesso artistico di poeti e scrittori e ho sentito che vorrebbero organizzare una manifestazione per onorare il poeta Vincenzo De Simone.
Ogni tanto i vivi si ricordano del grande Maestro e ne cantano le lodi, ma nessuno comprende le sue poesie: c'è il critico che le ritiene vuote, senza contenuto, c'è il cultore che lo definisce parnassiano per i bei versi (ma Lui non scriveva tanto per scrivere bei versi, non pensava all'arte per l'arte), c'è il linguista che si esalta nella purezza della lingua (LINGUA E NON DIALETTO perchè Lui scriveva in lingua siciliana).
Anni fa quando fu commemorato a Catania il sessantesimo anniversario della morte intervenni dicendo che i contenuti c'erano, eccome!
Quando non era tormento del cuore per la Terra amurusa troppo lontana o per la figlia che aveva solo vent'anni quando morì di setticemia post partum, c'erano i temi cari ai poeti d'amore della corte federiciana ereditati dall'antica Persia con tutto il loro simbolismo.
E poi c'era il ritmo sempre perfetto che faceva capire come il suo simbolismo fosse legato alla Musica come Scienza del Ritmo.
E poi c'era la "sua" Scuola che contava nel 1937 almeno altri 34 poeti.
C'era il suo salotto letterario a Milano frequentato dai più esimi poeti e scrittori dell'epoca (e non solo siciliani come qualcuno vorrebbe intendere) e le sue amicizie internazionali (dal poeta cubano di lingua francese Armand Godoy al poeta polacco e principe lituano Oscar Vladislas Milosz de Lubicz).
C'era l'interesse per poeti ancora non tradotti di cui mirabilmente dette una versione poetica in lingua italiana (da Frédéric Mistral premio Nobel nel 1904 a Christian Johann Heinrich Heine, il maggior poeta tedesco del periodo di transizione tra il romanticismo e il realismo, a José María Heredia che è considerato come uno dei migliori poeti cubani).
E c'era Gabriele d'Annunzio principe di Monte Nevoso nel 1934 che pare gli dette un cavalierato omonimo.
Una volta ho sentito dire che è stato il più grande poeta in lingua siciliana del '900.
Ha avuto la fortuna di avere una vita ricca di affetti e di pene, di cultura e di viaggi, di amici e di allievi.
Nel febbraio 1934 in occasione di una sua visita a New York gli fu intitolato un cenacolo Artistico Letterario che adunasse e valorizzasse l'Arte Italiana dei Siciliani negli USA.
Non mi risulta niente di simile in Italia al giorno d'oggi.
Che vogliamo di più? Ebbe solo la sventura di morire troppo presto e di essere diventato famoso nel periodo fascista.
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« Risposta #48 inserita:: 06 Aprile 2008, 12:22:55 »

Ho trovato una vecchia cartolina postale con la foto di Vincenzo De Simone.
Sul retro dove normalmente si scrivono i messaggi e si mette la firma c'è stampata una poesia del "nostro" poeta.
S'intitola LI ROSI

Stamatina li rosi a la 'mpruvisa
si sdravacaru di li so' buttuna,
e mi guardanu 'nzinnu, ad una ad una,
ccu l'occhi sbersi e la vuccuzza a risa;

e la madama si misi 'n pritisa,
la marascialla li russi galluna,
e la riggina la manta e la cruna,
e l'urtulana la bianca cammisa;

e tutti a ròcchia ccu li pitturini,
trunti di li so' pàmpini sbampanti,
- e cu' cchiù potti, s'ammucciau li spini -

rasu e villutu, mi vinniru avanti
ccu li stissi fraganzi e l'armuini
di li me' antichi e gurliusi amanti.

Vincenzo De Simone
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« Risposta #49 inserita:: 13 Aprile 2008, 10:50:59 »

ci spieghi osvaldo vappari e cutedda?

Vàppari è il plurale di vàppara che vuol dire vanteria, spacconeria. È il sostantivo di vapparusu e il verbo corrispondente è vappariarisi. Avranno questi termini uguale origine con le parole napoletane "guappo" e "guapperìa". Cutedda non ha bisogno di spiegazione, ma nell'epoca di "a la surfarara" erano, insieme "o rivorbaru" (revolver) il complemento di certe teste montate e facili ad infiammarsi. Erano i tempi in cui, raccontavano i vecchi, il sabato notte, o per vino o per regolamento di conti, ci scappava sempre il morto.
« Ultima modifica: 13 Aprile 2008, 11:08:58 da osvaldo » Registrato

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« Risposta #50 inserita:: 13 Aprile 2008, 14:28:42 »

grazie osvaldo della spiegazione sull'etimologia dell'espressione.
dietro c'è sempre qualcosa di nuovo.
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