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| | |-+  Insediamento arcaico a Monte Giulfo
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Autore Discussione: Insediamento arcaico a Monte Giulfo  (Letto 10404 volte)
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« inserita:: 09 Febbraio 2008, 13:59:21 »

Vogliamo segnalarvi un articolo pubblicato qualche mese fa su Vivienna.it in modo da farlo conoscere a coloro che non fossero venuti a conoscenza della notizia.

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Villarosa: Un insediamento arcaico a Monte Giulfo

Villarosa. Si sono da poco concluse le indagini archeologiche presso il sito di Monte Giulfo a Villarosa dove il Comune, con il coordinamento scientifico della Soprintendenza ai BB.CC.AA di Enna, e all’interno del PIT 11 “Enna: turismo tra archeologia e natura”, ha finalmente dato l’imput alla ricerca archeologica nel territorio. Già da tempo racconti popolari e appassionati lavori di studiosi locali ponevano sul monte il sito di un antico e vasto insediamento greco. D’altra parte la posizione geografica, al centro di importanti vie di comunicazione, non distante da centri abitati di notevole interesse, non poteva non rappresentare un luogo ideale per la frequentazione umana. Una ricognizione di superficie e la recente indagine archeologica hanno permesso di confermare questa ipotesi con la scoperta di importanti strutture e resti materiali databili in età arcaica, tra la fine del VII e l’inizio del V sec. a.C. I lavori di scavo, iniziati nel mese di Aprile di quest’anno e completati da appena qualche giorno, hanno riguardato diversi settori del monte a cominciare dal costone roccioso che si affaccia a Est crivellato da numerose tombe a camera scavate nella roccia del tipo diffuso in Sicilia durante il periodo arcaico. Purtroppo lo stato di conservazione delle sepolture, ampiamente depredate dagli scavatori clandestini e soggette ai cedimenti del costone roccioso, non è per tutte ottimali. Integra ma purtroppo ormai priva, come le altre, del corredo funebre che doveva arricchirla, è una bella tomba a doppia camera con banchina laterale. Undici sono le sepolture che si aprono sul livello più basso del costone roccioso mentre tre sono quelle pertinenti la stessa necropoli ma a un livello superiore. Tra queste una camera a pianta quadrangolare e del tutto integra era già stata individuata anni fa. La recente indagine archeologica ha invece interessato due nuove tombe peraltro già violate e in precarie condizioni di conservazione. Una, priva ormai della volta, presentava ancora il tumulo di chiusura realizzato con grosse pietre e conservava all’esterno le tracce del pasto rituale testimoniato da alcuni vasi ancora integri. A poca distanza, sullo stesso costone, il rinvenimento di numerosi strati di bruciato e di frammenti pertinenti vasi di importazione greca, ha fatto ipotizzare la presenza di un luogo sacro, forse un santuario funerario. Uno studio più approfondito delle tracce emerse potrà senza dubbio chiarire i dubbi sull’effettiva funzione dell’area. L’indagine archeologica ha contemporaneamente riguardato il pianoro del monte dove, in un’area di circa 500 mq, sono state portate alla luce diverse strutture murarie pertinenti l’abitato. Si tratta in particolare di cinque ambienti i cui muri perimetrali si conservano per qualche filare in altezza e che hanno restituito, spesso in carattere frammentario, numerosi materiali. Il rinvenimento di molti contenitori di derrate alimentari, la maggior parte frammentari ma ancora in situ, e le dimensioni degli ambienti, sembrano dimostrare che possa trattarsi di magazzini. Il notevole valore delle scoperte appena descritte che necessitano indubbiamente di una quanto più imminente ripresa dei lavori, rappresenta soltanto il primo passo verso una conoscenza più profonda del territorio e della nostra storia nonché un volano per lo sviluppo economico di un’area che, sappiamo bene, si muove tra mille difficoltà verso un futuro incerto. La presenza di un rilevante sito archeologico in una fitta rete di attrattive, dagli altri siti presenti nella zona, all’archeologia industriale -con le tracce delle antiche miniere-alla passeggiata nell’oasi fluviale tra natura e paesaggio, potrebbe senza alcun dubbio costituire momento di rilancio e di successo per tutto il territorio.

Anna Maria Barberi


Fonte: www.vivienna.it

Link all'articolo originale: http://www.vivienna.it/notizie/notizia.php?id_news=21505&18/10/2007&20:29:28&titolo=Villarosa:%20Un%20insediamento%20arcaico%20a%20Monte%20Giulfo
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saby


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« Risposta #1 inserita:: 09 Febbraio 2008, 15:13:24 »

chiocciolina potrebbe darci qualche notizia in piu', visto che con l'universita' ha letteralmente scavato(con pala e picu) anche lei ... Applauso
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« Risposta #2 inserita:: 24 Maggio 2008, 22:58:04 »

                                               A GRUTTA D’ ANZISI

Il presumibile sito dell’antica Pizarolo, ricco di reperti come cocci di crateri e mozziconi di pezzi architettonici, che per i contadini del luogo erano qualificati con disistima semplicemente come “grasti”, cioè rottami del tempo dei Saraceni,   ha da sempre infiammato la fantasia popolare che ha intessuto il tutto di leggende relative a ingenti truvatura.
Nella zona, immediatamente a sud-est di monte Respica-Giulfo, esiste una piccola elevazione naturale indicata nella Carta d’Italia dell’Istituto Geografico Militare al foglio 268 IV N.E.,  e denominata rocca Danzise.
La leggenda narra di due compari, cacciatori di Calascibetta, dei tempi antichi quando uno schioppo non era arma di poveri per via dell’alto costo e si andava a caccia di lepri e conigli con lacci e furetti.
Una mattina i due compari avviarono un furetto in un cunicolo davanti al quale avevano notato “rasti” di roditori. L’animale s’infrittà e pare che non avesse voglia d’ uscire o forse aveva già tagliato la corda da un’altra apertura, al lato opposto.
Quando si furono spazientiti abbastanza uno dei due infilò un braccio nell’ anfratto per cercare di stanare l’animaletto e la mano si trovò a toccare materiale non confrontabile a semplici ciottoli. Trasse fuori il braccio col pugno chiuso e si ritrovò nel palmo sterro e alcuni dischetti metallici impiastricciati di sporco stratificato che li rendeva indecifrabili. Il fortunato scopritore sputò sopra uno di questi, lo stropicciò fra pollice ed indice e fra l’incrostazione secolare brillò al sole un luccichio riconducibile ad oro.
I compari si guardarono negli occhi e due mani contemporaneamente si scontrarono alla fessura. Una mano alla volta trasse sempre materiale presumibilmente prezioso. Con rami secchi, coltelli ed arnesi impropri, scavando e facendo leva allargarono la breccia fino a poterci entrare uno alla volta. Il primo ad entrare fece grande fatica; vi s’infilò pericolosamente e brancicando a pancia a terra scivolò per anfratti bui su pietre aguzze che gli tormentavano il torace; l’altro fremeva di curiosità interessata per l’inconsueta facilità di trovare monete in metallo prezioso, così, bando ad ogni prudenza, seguì il compare.
Ansimanti, accaldati, sporchi di terriccio e polveri sottili impastate col sudore che colava dal cuoio capelluto attraverso la fronte e le sopracciglia fino ad offendere gli occhi, si ritrovarono dentro un’ampia cavità fiocamente illuminata da un indiretto timido raggio di sole che filtrava attraverso la roccia non assolutamente compatta.
Lo spettacolo che si offrì ai loro occhi era molto più prodigioso di quanto il più fortunato tombarolo potesse immaginare: cofani di legno infracidito che lasciavano scivolare monili e anelli, ceste già robuste ora corrose dal tempo custodivano un tesoro d’antiche monete, vasi, pesanti gioielli in oro e argento d’inestimabile valore, che poteva trovar posto solamente in decine di capienti bisacce, le sole adatte a nascondere a curiosi il reale ed insospettabile contenuto.
I due fortunati rinvenitori non si reggevano in piedi tra l’eccitazione e il turbamento. Uscirono all’aperto, s’abbracciarono e si lasciarono trascinare a terra presi totalmente dall’emozione e dalla stanchezza.
Quando si rialzarono ciascuno dei due rise sonoramente del viso impiastricciato dell’altro.
I cani guardavano curiosi i loro eccitatissimi padroni senza capire.
Si rasserenarono un po’; il sole s’era posto in alto nell’orizzonte e picchiava sulle teste, d’istinto cercarono l’ombra e qui cominciarono a far piani che dovevano rimanere assolutamente segreti.
I due erano cacciatori che oltre a non potersi permettere di possedere un’arrugginita arma da fuoco, altresì non disponevano né di un mulo, né di un macilento asinello.
Cominciarono col calcolare a grandi linee il numero di muli che sarebbero stati necessari per il trasporto e convennero che l’unica soluzione era quella di ricorrere alla rìtina di muli di Anzise, che l’  affittava a quanti ne avessero bisogno.
Sulla via del ritorno, dopo essersi lavati alla meglio al primo beveratoio, andarono a contrattare con Anzise adducendo come giustificazione l’acquisto di una partita di grano da rivendere a Castrogiovanni.
Tornati a casa, quando i bambini erano già addormentati, ognuno dei due cacciatori raccontò con emozione e particolari dettagliati alla rispettiva consorte l’incredibile fortunata avventura.
La notizia questa volta sconvolse le donne. Mentre i mariti sul tardi furono sopraffatti dal sonno, le mogli, ognuna nella rispettiva abitazione, rimasero sveglie a rimuginare, architettando, ognuno per proprio conto, un vile progetto: perché dover dare la metà del tesoro all’altro?
All’alba gli uomini s’alzarono: uno dei cacciatori trovò in piedi la moglie che nottetempo aveva preparato due focacce, una carica di veleno per topi l’altra normale destinata al proprio marito; l’altro trovò, pronta e decisa, la consorte che aveva preparato pane con olive e altre conserve, accompagnati da una bottiglia di buon vino messo da parte per occasioni speciali, carico d’uguale prodotto tossico per topi, da destinare esclusivamente al compare, visto che il marito era notoriamente astemio.
Ambedue i mariti non furono entusiasti dell’idea delle rispettive mogli, ma queste alla fine seppero far valere il loro diabolico piano.
Con la rìtina di muli di Anzise raggiunsero la grotta del tesoro. La zona intorno era deserta e non vi sorgeva alcuna costruzione, quindi non c’era il rischio d’esser visti da sguardi curiosi.
Come primo atto s’affrettarono ad allargare l’accesso dell’antro e quando furono all’interno cominciarono a riempire le bisacce d’ogni oggetto prezioso, ripulendo il sito, con accuratezza ed avidità, d’ogni più piccolo oggetto metallico. Trascinarono le bisacce fuori, la caricarono sui muli, assicurandole ben bene con corde e prisagli.
Prima d’affrontare il viaggio di ritorno ed anche per evitare di entrare in paese di giorno, si sedettere a riposare e a consumare l’ultimo pasto da poveri.
Nel giro di qualche ora si consumò la tragedia fra atroci crampi e feroci accuse reciproche, finchè spirarono senza poter ricevere aiuto alcuno.
I poveri muli testimoni inconsapevoli aspettarono inutilmente che si desse loro il comando del rientro.
Quando le bestie cominciarono a sentire i morsi della fame, partita la prima subito fu seguita da tutte le altre lungo i sentieri che portavano alla loro dimora abituale.
Era notte fonda quando a rìtina di muli al completo giunse alla masseria d’Anzise e cominciarono a raspuliare con gli zoccoli il terreno per attirare l’attenzione del padrone, sperando che li liberasse al più presto dell’ormai insopportabile basto. Anzise scese giù, diede voce ai suoi clienti che credeva fuori della portata della sua vista e quando appurò che non c’era nessuno, ritenne opportuno disimpegnare al più presto le bestie dall’ insostenibile soma. Capì subito che non si trattava di frumento ma di oggetti metallici, quando aprì la prima bisaccia rimase basito; ripresosi subito pensò per il momento di acquisire il tutto e poi vedere il da farsi.
Nessuno reclamò il carico e quando si scoprì in paese la misteriosa morte dei due compari, ad Anzise si chiarì del tutto il quadro della situazione e rimase il proprietario indiscusso di tutto quel ben di Dio.
La storia raccontatami ha un seguito che potrebbe essere ben confermato o smentito da fatti storici inoppugnabili, io la raccontò così come l’ho avuta riferita, anche se le mie riserve rimangono numerose.
Passarono gli anni, Anzise, non avendo eredi, pare che avrebbe fatto testamento lasciando il suo smisurato patrimonio a favore della chiesa che si fosse impegnata a custodire nell’avvenire il suo corpo imbalsamato.
Sempre secondo la mia fonte verbale, abitanti di Castrogiovanni nottetempo avrebbero trafugato le spoglie di Anzise, assicurandosi per la propria comunità la lucrosa rendita. Gli stessi però, nella fretta, avrebbero lasciato a Calascibetta le interiora del defunto, anch’esse imbalsamate.
La controversia sarebbe stata risolta dopo lunghe trattative: la rendita maggiore sarebbe toccata alla chiesa di Castrogiovanni, una quota minore a quella di Calascibetta.
Cosa ci sarà di vero in tutta la storia?
È una semplice coincidenza la denominazione Rocca Danzise riportate in modo inequivoco nella Carta d’Italia?
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« Risposta #3 inserita:: 25 Maggio 2008, 14:55:44 »

chiocciolina potrebbe darci qualche notizia in piu', visto che con l'universita' ha letteralmente scavato(con pala e picu) anche lei ... Applauso

chiedo umilmente scusa...non mi ero proprio accorta di questo topic...

effettivamente quest' estate sono stata cn l'università per due settimane a scavare a Monte Giulfo...io e i miei colleghi ci siamo occupati soprattutto dell'abitato nel pianoro. In particolare abbiamo messo in evidenza le strutture murarie muniti della fedele picozzina e della immancabile trowel...abbiamo ripulito tutto il crollo rendendo leggibile la pianta dell'abitato, probabilmente adibito a magazzino vista la ceramica ritrovata...interessantissimi sono stati anche i rinvenimenti nell'area della necropoli est anche perchè sn state evidenziate diverse modalità di sepoltura che abbracciano diverse realtà culturali.


è stata una bellissima esperienza anche grazie alla disponibilità del nostro professore, di Annamaria Barberi e degli operai che ci hanno letteralmente guidati...

spero che questa realtà possa essere veramente valorizzata con progetti validi.
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« Risposta #4 inserita:: 25 Maggio 2008, 15:34:29 »

il racconto di Osvaldo, affascinante e come sempre ricco di etnografia, ci introduce ad un interessante interrogativo spesso utilizzato nell'archeologia e nella ricerca storica: l'utilizzo dei TOPONIMI è utile per comprendere, carpire o intuire una radice che fornisca una possibilità di risalire ad un popolo, ad un evento?
Probabilmente Si,

Rocca Danzise, chissà se da questo dettaglio si possa risalire a qualcosa di più?
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