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Villarosa => La storia => Discussione aperta da: osvaldo - 10 Gennaio 2008, 00:17:05



Titolo: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 10 Gennaio 2008, 00:17:05
                                                               “STANNO TUTTI BENE”

Donna Turidda Zuffante, nostra dirimpettaia, l’ho conosciuta sempre da vecchia: asciutta, severa in viso  e intenta a sfaccendare di continuo; faceva maggiormente piacere vederla con la zappa in mano nell’atto di curare personalmente il giardino annesso alla sua casa. 
Mia nonna, più giovane di lei, la osservava compiaciuta e spesso  pronosticava che l’arzilla vicina avrebbe raggiunto e superato senz’altro la bella età dei cent’anni.
Donna Turidda sopravvisse alla nonna e in effetti arrivò a 105 anni.
Quando le festeggiarono il secolo di vita, al giornalista che la intervistò disse d’essere in definitiva soddisfatta della sua lunga esistenza, solo lamentava, tanto per citare un piccolo ed anche trascurabile disappunto, che l’Amministrazione ferroviaria non le inviava più, già d’alcuni anni, i biglietti gratuiti che le spettavano di diritto quale vedova di ex ferroviere.
Aveva ben ragione la centenaria di non dolersi delle vicende del suo mondo familiare perché da qualche decennio le veniva risparmiata la condivisione degli  inevitabili dispiaceri e dei drammi che possono accadere in genere in tutte le famiglie.
Ho intitolato questa pagina saccheggiando il titolo d’un film sul dramma dell’emigrazione, interpretato dall’ultimo Marcello Mastroianni.
L’unica figlia femmina di donna Turidda, Giuseppina, col marito Santo Russo e tutti i loro figli, negli anni cinquanta emigrò in Australia.
Quel distacco, come ogni altro che conducesse a terre molto lontane, fu assai duro per la vecchietta e la provò tanto perchè ella sentiva che si stava dividendo per sempre, mmivinzia, con tutte quelle persone care.
La corrispondenza epistolare per madre e figlia rimaneva l’unico conforto e tormento ad un tempo; ma quella era la dura legge dell’emigrazione, perché unni cc’è u bunu stari cc’è u bunu campari.
Ogni madre preferirebbe morire al posto della propria creatura, purtroppo quando l’inesorabile Parca incombe su di questa, la crudele non accetta baratto alcuno.
La signora Giuseppina lasciò questa vita troppo presto, lasciando prostrati dal dolore i familiari; con un problema in più: come comunicare il ferale evento alla nonna prossima ai cento anni?
A seguito del ritardo di notizie arrivò da Villarosa una lettera disperata dalla vecchietta che chiedeva notizie precise e implorava la figlia a non nasconderle nulla.
L’imbarazzo era immenso; bisognava trovare una soluzione, a costo di ricorrere ad una pietosa invenzione.
La vecchietta ricevette dopo qualche giorno una lettera, che cominciava:
“Cara mamma, mi deve scusare del ritardo involontario di notizie, perché abbiamo passato un brutto momento, ma quando le cose si contano  è sempre, ringraziando Dio, una fortuna.
Vossia avrà capito che la calligrafia non è la mia, è quella di Imperia che, figlia mia, si assumerà d’ora in  poi  quest’ impegno.
M’è successo un brutto incidente con la macchina, Totò non s’è fatto niente e solamente io ho perduto il braccio destro, rimasto schiacciato sotto la vettura. Nella disgrazia però mi sento fortunata perché poteva andare peggio, così accetto con rassegnazione la volontà del Signore…”



Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Rommel - 12 Gennaio 2008, 12:33:15
una storia pirandelliana da farci una novella


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: cigliazza - 12 Gennaio 2008, 17:18:44
Bella storia veramente, racconti d'altri tempi.Se ne possono citare di tutti i generi...Un mio trisavolo andò in America a cercar fortuna, tornò in paese e , dopo aver messo su famiglia, tornò nel nuovo continente per non far più ritorno a casa. Dopo mesi la mia trisnonna seppe che aveva un'altra moglie ed un'altra famiglia laggiù...Sono riuscita a trovare qualcosa su di lui grazie ad un sito che ho trovato qui su villarosani.it.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Zio d'America - 19 Gennaio 2008, 16:05:25
Una gran bella storia, da novella come dice Rommel.

Grazie ancora ad Osvaldo per il contributo fornito.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: proserpina - 25 Gennaio 2008, 23:37:28
sono pienamente d'accordo con tutti voi.Questa storia ci mette davanti a delle realtà difficili da immaginare per noi che riusciamo a comunicare con estrema semplicità,seppur a grandi distanze!
Era davvero troppo difiicile abbandonare le proprie famiglie e non sapere quando sarebbe stato possibile rivederle.
complimenti ancora per la storia! :consola:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 26 Gennaio 2008, 21:33:29
                                                    CU L'AVI L'AVI DISSI BLANNINU

Fin da bambino, ogni tanto sentivo una frase che mi sembrava lapalissiana e addiritura sciocca: Cu l’àvi l’àvi, dissi Blanninu.
Non osavo esprimere il mio sospetto perché percepivo che senz’altro mi sbagliavo io e non di certo le persone grandi che proferivano quella che a me appariva un’ovvietà.
Man mano che crescevo, continuavo a sentirla, ed io ci riflettevo sempre più per cercare di scoprirci il senso occulto che ancora mi sfuggiva.
Col tempo e la maturità cominciò a farsi strada in me l’idea che non si dovesse trattare del possesso di cose materiali, ma di entità imponderabili quali onestà, pudore, sensibilità, senso del dovere, fede alla parola data, ecc…, insomma le caratteristiche dell’uomo serio, molto raro in ogni tempo.
Blanninu quindi era un uomo saggio e voleva far capire che certe virtù non si improvvisano o possono indossarsi come un abito nuovo. Compresi così che l’ipocrisia dei falsi virtuosi, anche se rende nei rapporti sociali, finisce col durare poco e sempre fra i distratti o i superficiali: in poche parole, i santi uomini e le sante donne se non lo sono in profondo non lo diventeranno mai.
Mia madre usava molto spesso il detto di Blanninu. Un giorno le chiesi chi fosse questo Blanninu. Mi rispose che era un uomo saggio, che però ella non conobbe mai, perché era andato in America, prima che lei nascesse.
Ella di Blandino (così risultava allo Stato civile) non ne ricordava più il nome, ma sapeva che era stato un nostro lontano parente ed anche intimo amico e compare d’un suo prozio, Calogero Casale.
Blandino, a detta di zio Calogero, aveva messo su una bella numerosa famiglia.
I figlioli, divenuti adulti, nei tempi duri di fine ‘800, furono tra i primi a lasciare Villarosa per l’America. Come tanti altri volenterosi affrontarono l’ignota realtà, impararono la nuova lingua e presto fecero una discreta fortuna.
Anni dopo, quando il Blandino rimase vedovo, i figlioli tutti insistettero tanto perché il padre lasciasse il paesello per raggiungere le uniche persone care che gli rimanevano al mondo, anche se oltre Oceano.
Blandino lasciò il paese con la morte nel cuore; da persona sensibile ed intelligente presentiva quello che i giovani figli non potevano intuire.
Per amore obbedì al caro richiamo, confidando agli amici più cari la sua gioia e la sua angoscia.
Nelle prime lettere allo zio Calogero descriveva la meraviglia di quel mondo nuovo inimmaginabile per chi era nato e cresciuto nel cuore profondo della Sicilia ottocentesca.
Ma un uomo della sua età non poteva inserirsi in quel pianeta tanto vasto quanto vario; quello era un universo che egli sapeva di non potere né esplorare né affrontare, perché c’era il rischio di perdersi come un bimbetto fuori dal suo rione.
 Così si accontentava appena di vagare come un fantasma nelle vicinanze, dove si parlavano tante lingue tutte a lui ignote, dove si professavano tante religioni diverse dalla sua. Trovare un paisanu era una rara fortuna perché tutti erano impegnati a lavorare sodo:  solo la sera quando i figli tornavano a casa poteva sciogliere liberamente la lingua nella sua parlata natìa.
Troppo poco per un uomo che al suo paese era vissuto in un contesto di relazioni ben più vasto, dove egli era stimato per la serietà d’un’intera esistenza, rinvigorita poi dalla saggezza della vecchiaia.
    Non è dato sapere quanto tempo durò l’ultimo esilio di Blandino; Zio Calogero ne parlava sempre di persona scomparsa nella giungla urbana d’America e citava sempre il contenuto della lettera più significativa ricevuta da suo compare.
Questi facendo riferimento alla mancata conoscenza della lingua e quindi alla emarginazione di fatto, alla dipendenza dagli altri e all’ozio a cui amorosamente l’avevano obbligato, aveva scritto: “….dacchè ero padre sono diventato figlio….; vivo in una terra dove il fiore non ha odore, il pane non ha sapore e la donna non ha onore”.
Blandino, all’improvviso e senza gradualità, ad un’età in cui è difficile qualsiasi adattamento, aveva fatto un salto socio-culturale e morale con anticipo di quasi un secolo rispetto al paesello da dove proveniva.
La sua generazione, rimasta a Villarosa, cominciava appena a percepire, solo per sentito dire, che esisteva un mondo capovolto nei valori, quale quello sperimentato da Blandino, così continuava a vivere il proprio tempo, assimilando lentamente i minimi e graduali mutamenti della realtà sociale.
Decennio dopo decennio, guerra dopo guerra, anche il “nostro piccolo mondo antico” è andato cambiando e le nuove generazioni si sono adattate alle novità, con qualche ricordo nostalgico di tempi rimpianti perché ritenuti più belli.
La realtà d’allora era sì genuina, ma l’antica estrema miseria incombeva su gran parte della popolazione; oggi abbiamo raggiunto una certa prosperità, ma per essa abbiamo pagato un pesante scotto.
Col benessere abbiamo perso la nostra schietta identità e globalizzandoci ci siamo “americanizzati”, nel bene e nel male.



Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: tarzan - 26 Gennaio 2008, 21:47:33
Osvaldo complimenti come sempre per le tue perle di saggezza di cui ci fai generosamente dono.
Grazie davvero per la bella storia, per averci fatto rivivere per qualche seocondo i tempi passati e per averci dato un serio spunto di riflessione!!!

 :grande:  :grande:   :braaavo:  :italia:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: cigliazza - 26 Gennaio 2008, 22:22:29
Grazie osvaldo per le belle storie che ci racconti. Sembrano le storie di parenti lontani che mi raccontava mia nonna da piccola  :consola:
Veramente un bella storia, grazie ancora  :D


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: pazzotranquillo - 26 Gennaio 2008, 22:46:05
Complimenti vivissimo osvaldo! Continua così. I tuoi racconti sono linfa vitale per il nostro sito... grazie mille!


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: shark - 27 Gennaio 2008, 00:28:12
Grazie Osvaldo!


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: rosmauro - 28 Gennaio 2008, 10:53:10
 :applauso: :applauso: :applauso: :braaavo: :braaavo:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Rommel - 28 Gennaio 2008, 22:39:09
questa emigrazione a fine 800 come mai?
legata al problema delle terre per caso?


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Palermo Calcio - 13 Febbraio 2008, 04:49:40
Grazie osvaldo!!!  :applauso:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 28 Agosto 2008, 21:38:23
                                             STORIA DI MAFIA E D’EMIGRAZIONE

Don Turiddu Calabrese era un fine fabbro. Persona gentile, stimato da vicini e clienti, che non si sarebbe mai e poi mai sognato di sgarrare ai doveri della legalità e della buona creanza. Suo padre gli aveva insegnato di tenersi lontano da galantumini, ca cumu i muli, tiranu cauci quannu menu ti l’aspitti e di nun fari amicizia ccu sbirri, pirchì si cci perdi lu vinu e li sicarri.
S’era tenuto pure lontano dalla politica locale al fine di evitare di dover scendere agli inevitabili compromessi che essa comporta; poi anche perché un suo stretto parente s’era trovato in situazione spinosa, tant’è che era stato costretto, per pagare debiti non da lui contratti, ad emigrare in Argentina.
Egli abitava da gran tempo nella casa ch’era stata dei suoceri, defunti da gran tempo, ch’era toccata in eredità ad un cognato, il quale viveva di commercio a Catania e, da vero galantuomo qual  era, trovava sconveniente chiedere la pigione a sua sorella.
I coniugi Calabrese avevano messo in conto che prima o poi dovevano acquistare l’abitazione dal congiunto e per questo scopo da tempo tenevano una somma da parte per il momento tanto atteso.
La casa per i tempi in cui si svolsero i fatti, agl’inizi degli anni ’20 dello scorso secolo, si presentava ancora d’ ottima costruzione; poi, don Turiddu, in considerazione del fatto che non pagava affitto, non risparmiava nulla nella manutenzione e nell’abbellimento.
Questa sorgeva nella strada dei Santi e dominava una bella piazza del paese, e faceva gola a tanti benestanti locali, ma tutti erano consapevoli che don Turiddu non si sarebbe fatto sfuggire quell’acquisto, vitale per la sua famiglia.
Un giorno Rosa Spalletta in Calabrese ricevette una lettera dal fratello Jachino che la informava di essere intenzionato a vendere la sua proprietà e che era sua intenzione di passare la Pasqua in Villarosa tra i suoi.
Quando don Jachino, provenendo in carrozza dalla stazione, giunse o rivìlu, i facchini si precipitarono a prendere le sue valige di morbida pelle e saputa la destinazione di esse lo precedettero.
L’arrivo del concittadino che aveva fatto èbbica a Catania, sconvolse la quiete della parte di paese da dove passava: chi non lo conosceva ammirava il forestiero in bombetta e bastone col loden ripiegato sul braccio, quanti lo riconobbero andavano ad ossequiarlo. La notizia giunse in piazza e alla Società Umberto I di cui era ancora socio puntualissimo nei pagamenti delle mensilità anticipate. Tanti amici e altri solamente curiosi si precipitarono per piccole traverse per incrociare il tragitto che don Jachino doveva percorrere.
Giunse nella casa dei suoi cari circondato da un folto gruppo di cittadini e da vicini di casa che s’unirono ai primi.
Il mattino dopo don Jachino cominciò a fare qualche domanda ad amici sul mercato delle case in Villarosa.
La notizia si diffuse in paese e giunse agli orecchi di un miricanu da poco rientrato in paese, desideroso di fare la vita da signore con il bel gruzzolo guadagnatosi negli USA.
Questi consapevole delle mire del Calabrese, offrì allo Spalletta una somma più del doppio del valore di mercato della casa.
Don Jachino a tavola, tenendo bassi gli occhi sul piatto, confidò che aveva subito un tracollo economico e sperava, con la generosa offerta di quell’emigrante, di comprarsi a Catania almeno un tetto pur più modesto.
Rosa Spalletta si sentì venir meno per la disastrosa duplice notizia che colpiva l’amato fratello e la proprietà della casa della sua infanzia e di tutta la successiva esistenza.
Il gelo più disarmante avvolse quella casa; si parlavano a monosillabi e nessuno ardiva affrontare il discorso che ciascuno rripitiava nella propria testa sconvolta.
Don Jachino per svariare la mente confusa andava a far finta di leggere il giornale all’ Umberto I; don Turiddu furibondo lanciava improperi e maledizioni verso ddu piducchiu rivinutu di miricanu, partito morto di fame e che ora era capace di comprarsi mezzo paese…
Un mattino di una di quelle notti insonni don Turiddu prese la sua decisione, che egli giustificò di dover fare per il bene della famiglia.
Andò a bussare ad un portone e chiese udienza al padrone di casa.
Questi ruppe il silenzio vedendo l’ospite in grave imbarazzo e disse:
-   Don Turiddu carissimo, quale motivo vi porta a fare onore alla mia casa?
L’altro, dopo una lunga pausa imbarazzata:
-   Don Calojiru caro, sta Mèrica ni sta rovinannu a tutti; un tintu carriaturi torna cc’on carrettu di scuti e n’ accatta a tutti. Chisti sordi miricani nun su’ scuttati ppi nnenti!
Don Calojiru ascoltò per filo e per segno, non promise nulla di certo ma il tono lasciava trasparire la sicurezza che solo un “uomo d’onore” era capace di dare.
Più tardi, come di solito don Calojiru andò all’Umberto I; prese amichevolmente al braccio don Jachino e se lo portò nella sala di lettura. I soci presenti fecero finta d’aver completato il rito della scorsa al giornale e lasciarono gli altri due ai loro discorsi…
Don Jachino quel giorno fu più tetro del solito a pranzo; disse che gli era passato l’appetito e si ritirò nella sua stanza a preparare il bagaglio.
Salutò in fretta la sorella per l’ultima volta e le disse che avrebbe mandato per posta la procura a vendere.
La nave sulla quale s’era imbarcò per l’Argentina don Jachino solcava già l’Oceano, quando una mattina, prima che all’officina arrivassero i giùvini, don Turiddu ricevette una visita inaspettata: Don Calojiru tirò fuori da scappulara con gelosa delicatezza tre piastre di cera vergine su cui erano impresse la impronte di altrettante chiavi di quelle con profili articolati che servivano a chiudere i magazzeni delle masserie e che il padrone teneva sempre alla cinta… salvo quell’istante bastevole a trarne la forma sulla cera d’api. Su di esse Turiddu nottetempo avrebbe realizzato preziosi duplicati in ferro…
Mi sovviene un nostro proverbio: n' manu lava l'autra; qualcuno, con ironica tristezza, aggiunge, e tutti dui allordanu a facci!

P.S. – La presente storia è assolutamente vera e mi è stata raccontata molti anni fa, fin nei minimi particolari, da un figlio di don Turiddu, anch’egli passato all’altra vita. Sono stati cambiati i nomi per rispetto d’altri familiari viventi.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Rommel - 30 Agosto 2008, 12:16:29
bellissima la storia e l'affermazione
"Don Calojiru caro, sta Mèrica ni sta rovinannu a tutti; un tintu carriaturi torna cc’on carrettu di scuti e n’ accatta a tutti. Chisti sordi miricani nun su’ scuttati ppi nnenti"


bravo e grazie OSVALDO


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 30 Agosto 2008, 19:30:58
                                                                     CÀRMINA

I concittadini d’età intorno alla mia e specialmente se cresciuti nel rione Cavour, zona “Cozzo” e “Vasca”, si ricorderanno della figurina gracile e sdentata di Càrmina, detta a Camiola.
La sua espressione semplice ed indifesa tradiva una condizione di minorazione psichica.
Viveva in un catujiu, che aveva riempito di bacinelle e vasi da notte di ferro smaltato che la gente buttava per via dei buchi che l’usura e il tempo vi avevano praticato: poverina trovava uno spreco tutta quella roba buttata via!
Era sempre in giro in cerca di qualcosa da mangiucchiare e da raccogliere.
Mia nonna si serviva di lei per qualche semplice commissione, tanto per farla sentire in qualche modo utile.
Giunse la guerra, la situazione alimentare era tristissima, ma a Càrmina, sola al mondo, non mancò l’essenziale che era assolutamente minimo.
Non era vecchia la sventurata ma lo stato d’abbandono generale la faceva apparire tale.
Negli ultimi tempi della sua esistenza, la si vedeva appoggiata ad un muro a rimettere quanto teneva nello stomaco. Si pensò che la causa fosse dovuta semplicemente all’ingerimento di cibi guasti.
Le vicine di casa appena una mattina non la videro uscire come d'abitudine temettero il peggio ed informarono le autorità; fu trovata morta.
La fine di Càrmina dispiacque a quanti la conobbero.
Fu in quell’occasione che mia nonna ci raccontò la triste storia della sventurata.
Era l’ultima nata d’una famiglia povera, i fratelli tentarono la fortuna negli USA quando la bimba era molto piccola e pertanto non furono in grado di valutarne l’insufficienza mentale.
Càrmina cresceva bella nei lineamenti ma trascurata in tutto il resto.
Rimase orfana adolescente e si arrangiò come poté, senza chiedere soccorso ai fratelli.
Un giorno il postino consegnò a Càrmina una busta. Corse dalla vicina che si mostrava più premurosa nei suoi riguardi; quest’altra poverina era pure analfabeta, ma trovò l'ardire d’affrontare una signora d’altra condizione che sapeva leggere e scrivere.
La busta oltre alla lettera conteneva una grossa banconota in dollari.
Nella lettera era spiegato che un loro amico polacco, intendeva prendere in moglie una brava donna siciliana, perché le americane non erano adatte a gente modesta quali gli immigrati.
Chiedevano pure una fotografia per mostrarla al futuro sposo.
Tutto il vicinato si mise a disposizione racimolando pezzi di varie stoffe per rabberciare un abito degno d’un futura sposa americana; la portarono quasi di peso presso lo studio del fotografo don Salvatore Profeta, che era maestro nel ritocco.
Il risultato fu l’effige d’una splendida damina che ammaliò il futuro sposo solo a vederne l’immagine sulla carta.
I fratelli si fecero carico di tutte le spese e giunse il momento che Càrmina fu rilevata da loro al porto di New York.
La mancanza del minimo di vivacità fu addebitata alla timidezza, al nuovo ambiente del tutto differente da quello del Centro-Sicilia e alla mancata conoscenza della lingua inglese da parte della giovane.
I fratelli a ripetere che col tempo si sarebbe “sfacciata”, lo sposo a sperare che imparasse presto la lingua. Intanto se n’ era innamorato ancor più solamente a vederla, perché vigeva anche nel Nuovo Mondo la regola siciliana che la promessa sposa non si poteva nemmeno sfiorare.
Le nozze furono celebrate con lo sfarzo che poteva addirsi ad emigranti.
Passarono molti mesi e giorno dopo giorno le speranze apparivano sempre più deludenti; si fece strada nella loro mente il sospetto che i motivi erano ben altri.
Lo sposo la ripudiò; i fratelli la rimisero sul bastimento, per l’Italia.
Penso che essi si saranno ricordato ogni tanto di mettere qualche dollaro in una busta, ma allo scoppio dell’ultima guerra, divenuta l’Italia nemica degli USA, il modesto sussidio si esaurì di necessità.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: caluzzu - 31 Agosto 2008, 08:06:37
osvaldo anche questa storia é molto bella ed é molto triste,non conoscevo questa storia ma leggendola ho provato una grande pena per questa donna.In quando ai fratelli,secondo me hanno fatto una azione di miserabili a rimandare la sorella indietro.Ma DIO fraprà giudicare anche per questo ai figli di questi uomini.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: niki - 31 Agosto 2008, 14:09:35
Ringraziamo Osvaldo per le testimonianze che ci regala. :braaavo:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 31 Agosto 2008, 18:29:14
Ringraziamo Osvaldo per le testimonianze che ci regala. :braaavo:

Niki chiedi a tua mamma che abitava più o meno in quella zona se si ricorda della povera Càrmina a Camiola.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 31 Agosto 2008, 19:12:57
osvaldo anche questa storia é molto bella ed é molto triste,non conoscevo questa storia ma leggendola ho provato una grande pena per questa donna.In quando ai fratelli,secondo me hanno fatto una azione di miserabili a rimandare la sorella indietro.Ma DIO fraprà giudicare anche per questo ai figli di questi uomini.
La sensibilità di Caluzzu è ammirevole e a  prima vista gli si può dare piena  ragione. I veri intimi motivi ci sono ignoti e tali resteranno per sempre.
Ogni emigrante è uno sradicato, ma quello che arriva giovane, si trova un lavoro  soddisfacente e remunerativo, si forma una famiglia e si adatta presto; gli rimane  solamente nel cuore un'immensa nostalgia, che solo possono capire quanti la  provano. Una casa linda con servizi igienici e un'alimentazione abbondante può soddisfare  una persona diciamo normale, ma quella poverina era al suo paese figlia della  strada, era in pace con tutti e tutti la rispettavano; persino gli eterni  cretini, che erano soliti disturbare gli handcappati, non osavano fare dispetti a una poverina come Càrmina.
Il rione del Cozzo era il suo mondo; il resto non la interessava. Era in America  un pesce fuor d'acqua, un uccello in una gabbia dorata...
Sempre per stare sul tema, ma con una persona del livello mentale superiore rispetto alla  poverina: circa 50 anni fa un nostro concittadino, ancora vivente, fu richiamato  negli USA dal fratello del padre che era senza figli e ne voleva fare il suo erede. Tutti a Villarosa lo reputammo fortunato, ognuno in cuor proprio ne invidiava quella possibilità, perchè era il tempo della vita dura qui in Sicilia  e negli USA non si poteva andare facilmente così come in Belgio.
Qualche anno dopo lo vedemmo tornare: non si seppe adattare agli usi di quel Paese.
Riprese la vita di prima: la vecchia casa di contadini, il mulo, la sua piccola tenuta che gli permetteva solamente un tenore di vita molto modesto. Però era il suo mondo e  lo scelse con piena convinzione per il resto della sua esistenza.
Questo cittadino è stato ed è sempre considerato una persona normale, anche se ancora discutiamo sulla sua scelta; ora immaginiamo Càrmina alla quale cognate e  fratelli non avrebbero mai e poi mai consentito di riempire la casa di vacìla e  rinala sfunnati.
Per ognuno di noi è bello ciò che piace e l'umano giudizio è quasi sempre fallace. Se non possiamo giudicare al presente, immaginiamo come possiamo essere infallibili a quasi cento anni dal fatto raccontato.
Non per niente Gesù disse: NON GIUDICARE.



Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Rommel - 31 Agosto 2008, 19:58:04
la storia oltre a essere toccante mette in evidenza un problema comunissimo tra gli emigranti: conoscenza dell'inglese; a riguardo avevamo parlato dei molti cittadini USA che oggi hanno un cognome VILLAROSA;


invece chiedo a osvaldo di confermarmi un racconto, un'abitudine comune tra molti emigranti di portare con se o di chiamare in USA le mamme o i genitori in genere;

a inizio secolo i nostri paesani avevano il problema di seguire i figli lavorando in due o avendo un attività a cui sovraintendere.........




Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 01 Settembre 2008, 18:15:31
invece chiedo a osvaldo di confermarmi un racconto, un'abitudine comune tra molti emigranti di portare con se o di chiamare in USA le mamme o i genitori in genere;
a inizio secolo i nostri paesani avevano il problema di seguire i figli lavorando in due o avendo un attività a cui sovraintendere.........
Non mi risulta, tranne il caso Blandino di cui ho trattato, che i genitori siano andati negli USA appresso ai figli; il divario culturale era enorme e i figli sapevano che i loro genitori ne avrebbero sofferto. Blandino era un vecchio capomastro intelligente e valido, eppure ne risentì, ma non al punto di disperazione e di soffrire la noia, era felice di stare vicino a figli e nipoti. I genitori di figli affettuosi godevano del benessere americano per via delle rimesse. Sentivo parlare di mastru Pippinu, il compare di Gnaziu di "Tranne qualche volta in campagna", che si vantava di essere "impiegato statale" per via del vaglia che mensilmente riceveva dai figli amorosi. Quando scoppiò l'ultima guerra e di botto s'interruppero i rapporti con gli USA, tanti ne soffrirono e per vivere dovettero vendere persino il corredo delle figlie.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: cigliazza - 03 Settembre 2008, 13:13:34
invece chiedo a osvaldo di confermarmi un racconto, un'abitudine comune tra molti emigranti di portare con se o di chiamare in USA le mamme o i genitori in genere;

a inizio secolo i nostri paesani avevano il problema di seguire i figli lavorando in due o avendo un attività a cui sovraintendere.........

Non risulta neanche a me, al massimo chi ne aveva la possibilità andava a trovare i figli emigrati "nelle Americhe", anche se solitamente erano i figli a tornare quando e se potevano.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: niki - 03 Settembre 2008, 13:18:13
Niki chiedi a tua mamma che abitava più o meno in quella zona se si ricorda della povera Càrmina a Camiola.

Confermato da mia madre tutto quello che ha detto Osvaldo, come sempre sei il massimo  :braaavo:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Rommel - 04 Settembre 2008, 16:52:59
io ho un paio di casi


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: un amico al bar - 13 Settembre 2008, 00:36:04
Vorrei inserire un episodio: Circa 25 anni fa mio nonno, a quel tempo ancora in vita, riunì tutti i parenti per comunicare che da lì a poco sarebbe arrivato a Villarosa un suo nipote partito 50 anni prima per l'Argentina e mai più ritornato!. Noi eravamo curiosi di  conoscerne la storia e così apprendemmo che era più grande di età dello stesso mio nonno e che era partito per tentare la fortuna in Argentina dove in effetti non stava male perchè aveva una fattoria che gli garantiva di vivere dignitosamente. Quando arrivò questo parente, fu accolto da noi tutti come sappiamo fare a Villarosa. Ricordo che la domanda che gli si poneva era : come mai ha impiegato 50 anni per ritornare a Villarosa? La risposta fu: perchè per 5/6 anni mettevo da parte i soldi per il viaggio e quando andavo a convertire la moneta argentina con quella americana per acquistare il biglietto i soldi non bastavano mai. Così per 50 lunghi anni. Ricordo che restò meravigliato per i progressi fatti da noi , mentre loro erano rimasti arretrati. Si addolorava pensando che per vivere aveva vissuto lontano dai parenti e da solo. Dopo la vacanza tornò in Argentina, dalla moglie e dai figli.  Per tre mesi non fece altro che raccontare le storie del suo viaggio a Villarosa e mostrare le foto e gli oggetti che aveva ricevuto in regalo che posizionò su un tavolo da dove non dovevano essere rimossi. Una mattina fu trovato morto dalla moglie proprio su quel tavolo dal quale non si staccava più.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 19 Settembre 2008, 21:48:09
                                                      CCHI DDICI PITRU CACECI?

Mio zio Luigi emigrò negli Stati Uniti d’America nel 1948.
Raggiungere quel Paese allora era il sogno di quasi tutti gli italiani perché quell’alto indice di benessere era ben noto ed agognato, ma non era possibile per via di una politica d’immigrazione molto contenuta.
Lo zio poté perché era sposo d’una villarosana, cittadina americana, nata in quel paese e rientrata piccolissima in Italia con i genitori.
Zio Luigi aveva lasciato nella sua terra natìa gli affetti più cari: la vecchia madre, il fratello, le sorelle e tanti nipoti. Allora partire per l’America voleva dire dividersi “mmivinzia” e infatti non potè rivedere più la sua vecchietta.
Dieci anni dopo ci annunciò, per mezzo della solita comune lettera, una sorpresa:  ci aveva spedito la sua voce registrata su un piccolo disco, di pochi minuti di durata, inciso a 78 giri. Parlare a telefono era pressochè improbabile, anche se teoricamente possibile. Non esisteva ancora nei piccoli centri una rete telefonica e l’unico posto per telefonare era all’Ufficio Postale, ma non sentii mai dire che qualcuno se ne fosse servito per parlare con l’estero.
L’emozione fu immensa perché la tecnica non solo ci faceva ascoltare canzoni ma anche la voce d’una persona cara da un’altra parte del mondo.
Da poco avevamo comprato il giradischi e così ci predisponemmo a riprodurre l’inusitato messaggio a famiglie riunite e trepidanti.
Mamma Paolina, (così chiamavamo la nonna), saggia per tanti dolori, ultimo la perdita in guerra del figlio Peppino, era l’unica che riusciva a contenere le sue emozioni.
Cominciò la riproduzione, la voce dello zio tradiva un groppo alla gola. Le sue espressioni, generiche per breve tempo, subito si rivolsero alla vecchia madre (forse presagiva che non l’avrebbe mai più rivista). I pochi restanti minuti li dedico al fratello e alle due sorelle, citò ad uno ad uno noi nipoti, a cominciare da me ch’ero il più grande…
I nostri occhi andavano alla puntina del giradischi e avremmo voluto che essa non s’arrestasse… Si era agli ultimi istanti, lo zio non aveva nessuno più da citare, quando proprio sull’ultimo solco, l’udimmo esclamare di botto:
- Cchi dici Pitru Caceci?
Il clic inesorabile chiuse il caro monologo.
L’emozione ci aveva preso, la voce del caro parente s’era spenta nell’ altoparlante, ci guardavamo in viso tra la felicità d’averlo sentito quasi vicino e la tristezza di saperlo sempre lontano.
Quando più tardi si arrivò ai commenti, qualcuno fra noi chiese che cosa ci potesse entrare nei fatti di famiglia Pitru Caceci. Mio padre, che conosceva il fratello più di noi, spiegò la “sparata” dello zio come un modo di stemperare la tensione ch’era in lui e quell’altra che le sue parole avrebbero scatenato a Villarosa.
C’era riuscito benissimo, perché lo stesso effetto non l’avrebbe raggiunto se per caso, per coinvolgere la comunità villarosana, avesse chiesto notizie, che so, … del Sindaco, quale primo cittadino e rappresentante della città tutta.
Pitru Caceci era la persona più nota di Villarosa, più della Giunta Comunale, del Clero tutto, del maresciallo dei Carabinieri, del Pretore, ….
Qualcuno, a buon diritto, si chiederà: - Ma chi era questo Pitru Caceci?
Era l’uomo più simpatico, più gioviale, più amico ed anche più buono di tutti i villarosani.
La natura aveva negato a Pitru il “ben dell’intelletto”, ma gli aveva donato un cuore grande, generoso senza attesa di ricompensa.
Di solito non camminava come tutti; correva, cantava, interloquiva con chiunque incontrasse. Le canzoni erano tutte di sua creazione e s’intuiva in esse una certa rassomiglianza con le più note in voga.
Salutava tutti e “scummattiva a tutti”. Nessuno si sarebbe permesso di mancargli di rispetto perché non lo meritava, ma anche perché da buono sarebbe diventato tutt’altra persona…
Ovviamente nei tempi in cui visse non esistevano scuole per tutti gli individui delle sue condizioni, quindi era analfabeta puro, in tutti i sensi.
Quand’era libero da impegni di lavoro, andava alla fermata degli autobus e se scendeva un villarosano con una o più valige se le caricava e l’accompagnava a casa. Se gli davano dieci lire se le prendeva, altrimenti poteva chiedere una sigaretta e non più di tanto.
Nel 1943, all’arrivo degli americani, Pitru divenne l’amico anche di loro a prescindere della cioccolata, delle sigarette Lucky Strike e di qualche scatoletta di “Meath vegetable stew”…
Quelli gli parlavano in americano e Pitru senza scomporsi colse subito il tono di quella lingua e s’inventò un “grammelot” personale, che per chi non conoscesse l’inglese o Pitru, poteva credere che il nostro avesse imparato a parlare la nuova lingua solo col frequentare gli americani.
Anni dopo provai a chiedergli:
Pitru, quantu fanu cincu ppi cincu, e lui di botto, Quaranta.
 Bravu Pitru!
E sei ppi sei, e lui ancora, vinti….
Tutti ridevamo e lui con noi, felice e soddisfatto che la risposta fosse ineccepibile.
Era un instancabile uomo di fatica, soprattutto perché lavorava in allegria.
Una nota famiglia di Villarosa, che cominciò le sue fortune con l’autotrasporto, lo utilizzava nei lavori di carico e scarico, assicurandolo regolarmente per consentirgli d’avere una discreta pensione in vecchiaia. (Allora per i disabili non c’era nessun aiuto, erano un problema esclusivo delle famiglie di provenienza!)
Una sera d’autunno del dopoguerra il camion della ditta tornava da Catania con un carico di merce varia; la cabina era piena e a Pitru toccò di salire sul cassone. All’improvviso si scatenò una tempesta con lampi e tuoni da far paura; l’autista non si preoccupò tanto per Pitru perché sapeva che allo scoperto c’erano a disposizione i teloni che coprivano le merci.
Arrivati a Villarosa in garage chiamarono Pitru che non scendeva dal cassone e cominciarono a preoccuparsi seriamente. Cominciarono a temere il peggio, averlo perso in qualche brutta curva, essere scivolato dalla sponda, essersi fatto del male in qualche modo…
Tristi pensieri attraversarono la mente dell’autista e degli altri della cabina; non sapevano decidersi sul da farsi.
Essi tornarono a rovistare fra le merci: non c’era ombra d’un corpo umano.
Si stavano allontanando per andare a riferire e chiedere consiglio al proprietario dell’automezzo, quando, nel silenzio della tarda serata e dall’atmosfera tombale di quella maledetta giornata, udirono provenire dal cassone uno strano rumore; tornarono indietro e videro sollevarsi il coperchio di una cassa da morto nuova che dovevano consegnare a Villarosa. Trattennero il fiato; apparve Pitru in ginocchio sul fondo della bara che uscendo dal sopore d’un sonno ristoratore si stiracchiava e si sgranchiva.
A Villarosa ci si chiedeva spesso chi era l’uomo più felice e sulla risposta non c’erano dubbi.
Un uomo così, non è un essere qualsiasi; per tronfi e boriosi se tali individui  non esistessero il mondo sarebbe lo stesso; per persone umane e sensibili in costoro si può anche vedere un disegno del Creatore.
Pitru, Caceci non era il suo cognome, non era solo al mondo; alle sue spalle aveva una famiglia che lo amava.
L’emigrazione divenne pure una necessità per Pitru; essa non colpì direttamente lui ma le sue sorelle, le quali non potendolo lasciare solo nel mondo che gli era più congeniale, lo portarono con loro in Belgio.
Ci chiedevamo a Villarosa come poteva essere la vita di Pitru in terra del Nord e si conveniva che la sua esistenza doveva essere necessariamente triste.
Le notizie che davano i paesani di lui non erano incoraggianti.
Un giorno spuntò a Villarosa Pitru. Non era più lui, era uno zombi che faceva brevi apparizioni, senza vitalità, né sorrisi, nè canzoni, … Niente! Un uomo spento s’aggirava per la piazza e le vie che furono il suo mondo.
Poi non si vide più. Poco tempo dopo giunse la notizia ch’era nell’aria: Pitru era morto.
Un’altra vittima, come Carmina a Camiola, dell’emigrazione: un emigrato per forza, in un domicilio coatto, sradicato dal suo humus sociale e in un mondo che non poteva essere decisamente il suo.

P.S. – Gradirei che i paesani che vivevano in Belgio nella zona in cui visse Pitru dessero notizie più precise di questo “grande” amico, e non solo mio.



Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: cigliazza - 20 Settembre 2008, 11:06:58
Bellissima storia osvaldo  :applauso:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: niki - 20 Settembre 2008, 11:08:42
come al solito osvaldo sei un miniera di informazioni del passato un sentito ringraziamento per le tue testimonianze grazie


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Rommel - 20 Settembre 2008, 14:34:28
una storia bellissima,  :grande:osvaldo


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: jack_sparrow - 20 Settembre 2008, 23:59:24
bella bella bella 
:applauso: :applauso: :applauso:

Grazie di cuore!


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Palermo Calcio - 25 Settembre 2008, 00:42:29
 :grande: come al solito osvaldo, grazie!!!  :good:  :sicilia:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 24 Settembre 2009, 20:59:11
                                                                                                        QUANNU LA VIJU L’AMMAZZU

                Quand’ero ragazzino con Mastru  Giuguanninu  avevo un rapporto  tacito ed esclusivamente “professionale” . Egli era addetto alla nettezza urbana  e col carretto trascinato da un mulo faceva il giro del paese, toccando le vie principali che corrispondevano grosso modo alla strade dei Santi, cioè al tragitto delle processioni religiose. Il carretto stazionava in posti fissi per qualche minuto e  quanti avevano immondizie da smaltire le andavano a versare sul veicolo.
A casa mia generalmente questa mansione era affidata a me che ero il maggiore dei figli. L’ altezza di ragazzino non mi consentiva  di rovesciare il contenuto do cufiniddu  al di là delle sponde del carro. Mastru Giuguanninu, che biascicava  di continuo un’incomprensibile litania, mi toglieva di mano il contenitore, lo svuotava e me lo restituiva, senza nemmeno considerare la mia presenza, del resto come quella di qualunque altro cittadino.
             Quando io lo conobbi egli era in età matura, ma si intravedeva in lui la costituzione fisica d’un bell’uomo: era più alto della media degli altri cittadini; aveva larghe spalle, che accennavano a curvarsi. Io cercavo di vederlo fuori dal contesto del suo lavoro, che in quel tempo era considerato degradante, e trovavo in lui i canoni d’un mancato attore.
Quello che mi lasciava sconcertato ed anche un po’ turbato era quel borbottare continuo, sommesso  e monotono.
Il misterioso ed inusuale atteggiamento non mi incuteva timore, ma suscitava in me una grande legittima curiosità.
Dai miei appresi che poverino era rimasto sconvolto dall’abbandono subito da parte della moglie; che però era innocuo e pacifico e che andava ripetendo senza sosta: - Quannu la viju l’ammazzu.
            Alcuni anni dopo da un parente appresi maggiori particolari sulla triste storia del congiunto.
            Era partito da Villarosa per gli Stati Uniti giovanissimo, tanto che ritornato, uomo maturo,  mantenne il diminutivo del suo nome a dispetto della sua possanza fisica.
            In America subito trovò lavoro non qualificato: era analfabeta, perché avviato fin da piccolo alla vita dei campi, inoltre, non aveva la minima conoscenza non solo della lingua inglese, ma nemmeno di quella italiana. Nella società industriale trovò la mansione confacente al suo stato e  guadagnava quanto bastava a se stesso e riusciva a mandare qualche dollaro alla famiglia in Italia.
            La corporatura imponente, le fattezze piacenti  non potevano passare inosservate in modo particolare  alle giovani donne  d’una cultura diversa assai da quella della Villarosa del primo decennio  del ‘900.
            Esse cominciarono a circuirlo e presto lo introdussero in rapporti fra i sessi inimmaginabili per il contadino siciliano.
            I paesani lo avvertirono di stare attento perché a seguito di quella bella vita potevano scaturire brutte sorprese.
            Giuguanninu non diede retta a quelle sagge raccomandazioni.
Nel lavoro faceva progressi per la sua instancabilità, perchè abituato fin da bambino a faticare in campagna dall’alba al tramonto.
           Ora guadagnava bene e spendeva tutto nell’allegra compagnia.
           Finì con lo sposare una giovane americana lontana dalla cultura del risparmio, amante della bella vita anche da maritata.
           Un giorno il nostro concittadino, tornando stanco dal lavoro, trovò la casa svuotata degli effetti personali della consorte: era fuggita con un altro giovane in un diverso Stato dell’Unione.
           La vita di Giuguanninu fu scombussolata al massimo. Per lui il matrimonio era considerato a vita come al suo paesello. Da quel momento entrò in profonda crisi e non ne uscì mai più.
           Vagava per le vie della città da straccione, ripetendo  la litania della sua truce quanto improbabile vendetta che l’accompagnò fino alla fine dei suoi giorni.
           I paesani, pietosi verso il poveretto,  gli pagarono il viaggio di ritorno a Villarosa, nel suo antico nido, lontano da tristi ricordi che purtroppo risultarono decisamente indelebili.



Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: jack_sparrow - 25 Settembre 2009, 12:23:22
Grazie Osvaldo anche per questa storia  :applauso:


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: niki - 25 Settembre 2009, 12:44:13
Osvaldo, ma nelle tue storie che sono realmente accadute, non e che le puoi associare anche con qualche foto?


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 25 Settembre 2009, 20:54:54
Nicò, ti pare che il mondo è stato sempre come oggi?
Sognai un macchina fotografica per quasi tutta la mia giovinezza, solo a 28 anni comprai, di seconda mano, un Voitlander Vito C, per fotografare mio figlio che stava per nascere.
In quel mondo duro c'era però la speranza, in quello d'oggi anche quella è negata a tanti giovani, anche se hanno lo  stereo, il PC, l'auto di papà...
Papà tuo, mio amico, ti saprebbe illuminare bene su quello che fu la nostra giovinezza... La tua mamma è della mia generazione: chiedi.


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: Rommel - 25 Settembre 2009, 22:21:57
sapevo anche di paesani che tornavano per maritarsi con villarosane, evitando brutte sorprese...
e poi portandole con loro all'estero


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: osvaldo - 26 Settembre 2009, 00:04:58
sapevo anche di paesani che tornavano per maritarsi con villarosane, evitando brutte sorprese...
e poi portandole con loro all'estero

Esatto. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Questa era infatti l'intenzione dello sposo di Carmina a Camiola, ma...
Giuguanninu non volle accettare i saggi consigli degli amici  che avevano più esperienza ed intuito di lui.
Venivano anche donne attempate a cercar marito a  Villarosa. Ricordo il caso di un nostro concittadino che ne sposò una di queste che avendo il potere economico si sentiva la... regina dei dollari. Il povero marito si confidava con un amico: - Caro mio, io sono un sottogiaciuto...


Titolo: Re: I drammi dell'emigrazione
Inserito da: cigliazza - 30 Settembre 2009, 10:41:55
Grazie osvaldo  :good: