ANTICHI CASI DI COMUNE MISERIA

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osvaldo:
Qualche tempo fa ho annunciato che avrei avviato una ricerca, ovviamente aperta alla collaborazione di tutti, sugli aspetti economici e sociali pių tristi della nostra terra nei decenni trascorsi.
Mi sovviene un pensiero di Gesualdo Bufalino che citando ricordi pių datati di sua madre, parlava di un tempo in cui si poteva rompere un rapporto di buon vicinato solo a causa della restituzione di un uovo pių piccolo rispetto a quello anticipato in prestito.
Cos’č oggi un uovo? Una modica spesa. Nel passato no.
In tempi non molto lontani, quasi in ogni casa, si allevavano le galline che di giorno si lasciavano razzolare per le vie alla continua e instancabile ricerca di qualche granello, mollichina, insettuccio, foglia di  scarto di verdure ed anche di escrementi di bimbi che venivano deposti con naturalezza al margine della strada.
Le immagini possono dire pių delle mie parole: fra le foto delle vie di Villarosa pubblicate sul sito e messe a confronto tra presente e passato, sono ritratte infallibilmente galline intente alla ricerca di cibo, persino nella centralissima via Deodato, parallela del Corso principale, proprio davanti alla vecchia Caserma dei Carabinieri.
Fa pių tristezza sapere che quelle uova spesso non nutrivano i figlioli delle proprietarie delle bestiole, ma venivano vendute per ricavarne qualche spicciolo destinato a pių urgenti bisogni.
Ho raccolto, frugando fra la mia memoria, qualche episodio in tema, che spero di pubblicare in seguito. Intanto gradirei che villarosani, e non, facessero altrettanto o raccogliessero dalla viva voce di anziani fatti e situazioni che senza offendere nessuno noi possiamo tramandare a chi arriverā dopo, evitando il rischio che essi possano pensare che il mondo fosse sempre stato come l’avranno trovato.

cigliazza:
Lasciar vagare le galline in giro per il paese era un'usanza comunissima. La sera ognuno riprendeva le proprie, senza toccare quelle altrui.
Qualcuno possedeva anche i cosiddetti "papė", lasciati gironzolare al pari delle galline.
Che io sappia, in tempi ancora pių lontani, qualcuno allevava anche i porcellini d'India, ma per questa informazione chiedo l'aiuto degli utenti pių anziani...

toliveri:
Citazione di: cigliazza - 20 Aprile 2009, 16:06:24

Lasciar vagare le galline in giro per il paese era un'usanza comunissima. La sera ognuno riprendeva le proprie, senza toccare quelle altrui.
Qualcuno possedeva anche i cosiddetti "papė", lasciati gironzolare al pari delle galline.
Che io sappia, in tempi ancora pių lontani, qualcuno allevava anche i porcellini d'India, ma per questa informazione chiedo l'aiuto degli utenti pių anziani...

negli anni50era normale allevare le galline Lasciar vagare le galline in giro per il paese era un'usanza comunissima .   qualcuno allevava anche qualche maialino che ingrassavano coi rifiuti dei vicini .e a Natale andavano al macello afarlo macellare....

osvaldo:
Citazione di: cigliazza - 20 Aprile 2009, 16:06:24

Lasciar vagare le galline in giro per il paese era un'usanza comunissima. La sera ognuno riprendeva le proprie, senza toccare quelle altrui.
Qualcuno possedeva anche i cosiddetti "papė", lasciati gironzolare al pari delle galline.
Che io sappia, in tempi ancora pių lontani, qualcuno allevava anche i porcellini d'India, ma per questa informazione chiedo l'aiuto degli utenti pių anziani...

L'uovo era l'alimento proteico pių comune;la carne costava molto; la gallina quando invecchiava e dava poche uova veniva uccisa per le feste. Ma non sempre, spesso si vendeva per i soliti spiccioli: a tal proposito conosco un episodio che mi fu riferito dal protagonista stesso; lo tratterō in seguito. I porcellini d'india erano dei piccoli roditori con pelliccia pių rassomiglianti a piccoli conigli che a maialini: erano molto rari perchč rendevano poco. I "papė" erano i tacchini: erano pių rari delle galline ed ancor pių lo erano le oche. I , a differenza di quanto avveniva in altri paesi vicini, erano molto rari a Villarosa: qualcuno veniva allevato in periferia e non certo arrivavano in via Deodato...
[Aggiungo una nota curiosa che  non c'entra col discorso: appena scrivo in tutte le forme possibili l'animale con cui si confeziona la salsiccia, la parola mi viene "censurata". Provo ancora a scriverle tutte e vediamo che succede: maiale - parola censurata - suino .... Nell'anteprima ora due le trovo ma quella che comincia con p e finisce con o, mi č stata censurata. Com'č precisa la censura: nemmeno in RAI ai tempi della vecchia DC! - Informo chi di dovere che mi riferivo ad animali e non a persone: lo giuro!]
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osvaldo:
Sempre a proposito di galline. Razzolavano per le vie dal mattino presto quando la massaia metteva fuori "a caggia"; al tramonto si tenevano vicine al pollaio per il riposo notturno. La gallina non dormiva coi piedi a terra, ma sul trespolo, che era una barra di legno fissata a due estremitā della stia. La padrona le chiamava a raccolta in vari modi. A seconda del paese d'origine delle famiglie si usava un richiamo diverso; alcune usavano gridare "puripo'  ... puripo'". Secondo l'interpretazione di alcuni, questo era il richiamo tipico dei paesi d'antica origine gallica, tipo Sperlinga e Nicosia, e si sarebbe trattato dell'espressione d'antico francese "Pour  repos".
Non sempre tutte le galline tornavano al pollaio, qualcuna sė, quando era "straviata", cioč aveva perso l'orientamento. Quando non tornava qualche mano se l'era presa per il brodo del giorno dopo. Era un evento quasi tragico per la povera padrona che lanciava maledizioni alla vicina presunta ladra. La mattina presto dopo una notte forse insonne andava in giro per le vie intorno per vedere se ci fossero sparse tra le immondizie del quartiere piume e penne del colore della gallina scomparsa.
Allo scopo di riconoscere le proprie galline contro ogni contestazione, si usava ritagliare tanti pezzettini di stoffa d'una stessa pezza e ognuno di questi si cuciva con ago e filo, a vivo, all'estremo lembo di pelle dell'ala dei poveri animali.
Per rinnovare il pollaio a primavera, quando le galline diventavano chiocce, la temperatura del corpo s'innalzava, la padrona preparava un giaciglio di paglia "nno n' cufėnu", vi metteva una ventina di uova e sopra vi si adagiava la chioccia, futura madre di uova non tutte sue.
Qui essa stava tranquilla per tre settimane: beveva da un bicchiere con acqua affondato nella paglia per non farlo rovesciare. Si faceva scendere una volta al giorno per mangiare e per defecare. Le uova venivano coperte con uno scialle di lana, ma il pensiero assillante della chioccia era di tornare a covare.
Al 21° giorno i primi pulcini dall'interno del guscio praticavano un buchino e a poco a poco venivano fuori. La massaia toglieva da sotto la madre i neonati che erano posti "nno munniddu" coperti d'una stoffa di lana. Era commovente vedere quelle creaturine uscite dal guscio umide che sembravano spelacchiate e subito asciugatesi sembravano batuffolini di fine cotone.  Quando l'ultimo uovo si schiudeva, la chioccia saltava "do cufėnu" e chiamava a raccolta i bioccoli che la seguivano per qualche settimana, fin quando divenivano in grado di beccare da soli. Quello era uno spettacolo che oggi non č consentito alle giovani generazioni. Oggi si usano le incubatrici e il tutto č industrializzato.
Se qualcuno pensasse di creare un ambiente a caldo per 21 giorni a delle uova, stia tranquillo che non succederebbe nulla. Quelle che compriamo al supermercato sono uova di galline... “signorine”.
Senza il gallo l'uovo č incompleto, per questo in ogni pollaio c'era almeno un gallo, in quelli pių grandi tre, mai due, perché finirebbero per ammazzarsi tra loro...

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