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Autore Discussione: Il 1943 sotto le bombe  (Letto 59478 volte)
Rommel


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« Risposta #30 inserita:: 18 Novembre 2007, 18:45:02 »

le informazioni sono precise, mi ha confermato dove pensavo che fosse, un altra testimonianza mi ha parlato che in quei giorni nei terreni di fronte la catena stazionavano truppe tedesche.
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« Risposta #31 inserita:: 18 Novembre 2007, 19:35:43 »

Non credo che ci siano state queste postazioni in vicinaza della Catena, forse alla Vignuzza che è più in alto e potevano nascondersi tra gli ulivi secolari.
I miei si sarebbero accorti e saremmo sloggiati prima da Quattro Aratati, a soli 300 metri!
Accanto alla cantoniera della Catena (la Chiesetta allora non esisteva) mi ricordo che a fianco alla trazzera per Vignegrandi che passava di lì, per qualche tempo rimasero tre bombe a mano di quelle con un lungo manico.
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« Risposta #32 inserita:: 18 Novembre 2007, 20:09:03 »

una mia "parente" che conosci bene era sfollata nella casa in campagna del nonno proprio a meschino mio
e mi diceva che in quelle collinette, dove oggi c'è il frantoio a salire sotto gli ulivi c'erano le tende dei tedeschi, e ancora dopo la guerra di trovava qualche oggetto,

certmente non  vi erano postazioni, tipo artiglieria ma potrebbe darsi un plotone, o una compagnia che doveva controllare la strada..
la presenza delle bombe a mano confermerrebbe la testimonianza raccolta
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« Risposta #33 inserita:: 22 Novembre 2007, 21:29:59 »

Villarosa, dopo il 12 luglio rappresentò l'estremità ovest della linea di difesa della sicilia, in realtà un arretramento rallentò provocò forti combattimenti in territorio di s.caterina, ovviamente, tale territorio è limitrofo al nostro e combattimenti avvennero lungo il corso del fiume salso, ponte cinque archi fu fatto saltare da genieri tedeschi
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« Risposta #34 inserita:: 26 Novembre 2007, 20:26:03 »

Grazie ad osvaldo e Rommel per le testimonianze di quel periodo storico che attraversò il nostro paese e che ci fanno vivere quell'epoca di cambiamenti importanti.  Buono!
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« Risposta #35 inserita:: 05 Dicembre 2007, 00:21:53 »

                                                 ULTIMA NOTTE DI SFOLLAMENTO

Dopo l'ampliamento  della grotta se ne stava cominciando ad assaporare la bella comodità durante la canicola pomeridiana, quando riprese il cannoneggiamento. Ci sentivamo in certo modo in una botte di ferro per via della solidità della spelonca e dei sacchi di sabbia mimetizzati con sterpaglie a chiusura dell’entrata, quando sentimmo un vociare scomposto che s’avvicinava sempre più.
Erano le famiglie dei fratelli Rapè e affini, congiunti del concittadino Paolo che ancora non era nato. S’erano rifugiati in uno strettissimo casolare, dove era caduto uno spezzone incendiario che per fortuna non colpì nessuno, solamente incendiò le stoppie intorno. Tanto bastò per farli impaurire e scappare precipitosamente. Furono subito accolti da noi, e… addio spazio più grande.
I nostri uomini che avevano pregustato la possibilità di qualche ora di sonno al coperto, si sistemarono ancora una volta dove erano stati le notti precedenti, all’addiaccio.
Anche la vecchia nonna dei sopravvenuti, poverina, capì che il suo posto era fuori, perché dentro non c’era capienza alcuna…
Le nipoti, abbastanza mature per capire, chiamavano insistentemente la mamma Ca’ perché entrasse nella grotta: la nonna saggiamente taceva. Ed ancora reclamavano sempre più petulantemente, quando mia madre, persa la pazienza, disse:
- Non vedete com’è la situazione? Uscite voi e fate entrare lei.
Di botto tacquero e col silenzio giunse la notte.
Il mattino dopo gli ospiti cercarono un nuovo ricovero e ci ritrovammo con la grotta tutta nostra.
Tutti noi fummo finalmente sistemati e i piccoli ci assopimmo subito; non tanto i grandi perché la tosse convulsiva di mio cugino Guido, di tre anni e mezzo, non dava tregua.
La notte trascorreva tra un assopimento seguito da un risveglio, quando si sentirono delle voci che davano ordini in una lingua straniera: erano soldati tedeschi che per evitare la strada nazionale  seguivano il corso del vallone che andava a sfociare nella piana di San Francesco, oggi invasa dal lago creato dallo sbarramento sul fiume Morello.
I tedeschi erano nostri alleati, ma la loro amicizia, da quando le vicende della guerra non andavano più per il meglio, non ci convinceva più di tanto. Fino a quel momento le truppe avevano requisito solamente muli e cavalli, ma si temeva sempre il peggio: si temeva che resi nervosi dall’andamento delle operazioni belliche potevano manifestarsi più suscettibili e fare del male a quanti incappassero nel loro arretramento.
La tosse di Guido sembrava che aumentasse in concomitanza con la preoccupazione dei grandi; si tratteneva persino il respiro ma non si poteva tappare la bocca ad un bambino che spesso arrivava alle convulsioni e sembrava proprio che morisse. Io mi svegliai in quell’incombente silenzio rotto dal tossire stizzoso; fui subito zittito ed ascoltai il vociare nervoso in quella lingua gutturale che non avevo avuto mai occasione di ascoltare. Per me i soldati germanici erano degli alleati, ma l’atteggiamento eccessivamente prudente dei grandi mi comunicò che c’era qualcosa che sfuggiva alla mia comprensione, ed ubbidii.
A poco a poco le voci s’attutirono fino a spegnersi, quando l’alba cominciava a schiarire il cielo alla nostra sinistra: cominciava un altro giorno di guerra vissuta.
Più tardi avremmo saputo ch’era l’ultimo di sfollamento. I grandi commentavano i fatti della notte: la tosse del bambino ch’era al centro delle preoccupazioni, la ritirata dei tedeschi, il da farsi. Scesero giù a valle per raccogliere qualche notizia: il tam tam annunciava che in paese non c’era ombra di soldati dell’Asse.
L’annuncio ci riempì di gioia: il nostro popolo è fatto così, agisce d’istinto, e noi facevamo parte di quel popolo. L’alleato tedesco l’accettavamo perché il Duce ce l’aveva fatto vedere vincente; lui e noi credemmo alla guerra-lampo e fummo beffati.
Per noi gli Inglesi più o meno li percepivamo come i tedeschi, ma i soldati americani erano un qualcosa di diverso, quasi nostri parenti; essi appartenevano ad una terra dove i nostri parenti avevano  fatta fortuna. Pur non sapendo ancora che migliaia di soldati erano d’origine italiana ed erano venuti a combattere contro altri italiani intruppati dal Fascismo, Joe, Jim, Sam, John … erano nostri amici.
Si decise di tornare a casa perché era logico che al vuoto lasciato dei militari tedeschi doveva necessariamente seguire l’arrivo dei miricani.
Io mi ricordo con un paio di zoccoli di legno ai piedi e facevo lo spiritoso dicendo che peggio di così non mi poteva capitare e che forse i nuovi arrivati m’avrebbero consentito d’avere dei sandali di cuoio…
Rientrammo in paese lungo il vallone e uscimmo da sotto l'abbeveratoio; alle prime case vedevo persone che portavano sulle spalle, fra altre cose della mia scuola, gli attaccapanni, inconfondibili dal colore verdino col porta abiti di robusto fil di ferro fissato al legno con borchie metalliche raffiguranti una testa di leone. Mi stupii alquanto e provai gelosia per quegli oggetti portati via dalla scuola che avevo frequentato con amore per tre anni.
Le lezioni erano finite in aprile per motivi bellici, ma non sapevo quello ch’era successo negli ultimi tre mesi all’edificio scolastico, lontano da casa mia: s’era insediato in esso un ospedale militare, che ora veniva abbandonato di fretta.
Durante la notte successiva cittadini di Villarosa avevano saccheggiato l’ospedale portando via materassi, brandine, lenzuola, tovaglie di lino ed altro ancora. Quando non restò più niente di sanitario portarono via sedie, banchi e persino i registri scolastici che vendettero ai bottegai per avvolgervi le loro merci.
Arrivati a casa vedemmo i primi soldati americani che serenamente avanzavano a piedi dalla parte alta della via Milano, quasi passeggiassero.
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« Risposta #36 inserita:: 05 Dicembre 2007, 09:11:09 »

Certe storie mi fanno venire i brividi...... ma sono felice che Osvaldo racconti le storie vissute.... Braaavo!
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Laetus deget cui licet in diem dixisse: vixi.
È felice chi, giorno per giorno, può dire: ho vissuto!

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« Risposta #37 inserita:: 05 Dicembre 2007, 13:56:35 »

Bravo Osvaldo con le tue storie, grazie Grande! Braaavo!
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« Risposta #38 inserita:: 09 Dicembre 2007, 18:39:20 »

il racconto è molto bello, ricordi che giorno era? luglio sicuro ma la data,
 è importante
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« Risposta #39 inserita:: 09 Dicembre 2007, 22:51:01 »

il racconto è molto bello, ricordi che giorno era? luglio sicuro ma la data,
 è importante
La data esatta non la ricordo, cerco di ricostruirla: noi siamo sfollati la sera di sabato 10 luglio; mia madre sempre diceva che siamo stati in campagna 10 giorni, quindi saremmo rientrati la mattina di martedì 20. Pochi giorni dopo, domenica 25, subimmo il bombardamento tedesco, di cui mi propongo di raccogliere per iscritto i miei ricordi.
« Ultima modifica: 09 Dicembre 2007, 22:57:38 da osvaldo » Registrato

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« Risposta #40 inserita:: 10 Dicembre 2007, 00:10:17 »

                                                      I MIRICANI… I MIRICANI

Questo grido si diffuse per il paese, ma io riferisco per quanto riguarda la via Milano e giù di li fino a stratella (così, ancora con l’antico nome, veniva indicato il corso Regina Margherita).
Nella prima porta a scendere a destra della via Butera, c’era una botteguccia con bilancione di rame che vendeva pastigli, passiluna  e nuciddi. Era il regno d’una vecchia arcigna che non vidi ridere mai, poco amata dai ragazzi e non solo. Era a Impurtisa.
Era come una lumaca che non usciva dalla sua chiocciola, tutt’al più sedeva a godersi il fresco davanti alla porta.
Quel giorno di luglio si compì un miracolo; quando arrivò ai suoi orecchi il grido che annunciava la grande novità, prima uscì la testa dall’uscio e quando i tre soldati li poté scorgere all’incrocio tra via Milano con via Mazzini, mosse i suoi stanchi piedi e si piazzò in mezzo a stratella.
Quando i militari giunsero lì, colpiti dall’ampiezza dell’arteria, si guardarono intorno in tutte le direzioni. Non avevano completato la ricognizione visiva che a Impurtisa fece altri passi avanti ed andò ad abbracciare un dopo l’altro i tre militari, chiamandoli: - Figli mi’… figli mi’.
Noi ragazzi pensammo subito che avesse riconosciuto in essi dei suoi nipoti d’America, ma quelli accettarono l’inaspettato benvenuto e continuarono giù per la via Butera.
A Impurtisa resta l’icona d’un popolo ch’era stato abbindolato da una propaganda martellante di grandezza della Nazione, di riedizione dell’Impero romano, di nuove e più ricche Colonie, di bimbi che dovevano giocare con le sterline d’oro….
Il nostro popolo nella sua stragrande maggioranza era immaturo, (e temo proprio che lo sia ancora, dopo sessant’anni di democrazia) e non era preparato agli inevitabili sacrifici d’una guerra. La nostra era, ed è ancora, una giovane nazione con scarso senso della comunità. Alle prime difficoltà non stemmo più ai patti e ci siamo svegliati di soprassalto dal sonno dell’intelligenza, ma non siamo entrati in crisi come il popolo tedesco che aveva finto di non sapere e che poi non lo poté più. Noi ci siamo girati dall’altra parte e abbiamo ripreso il sonno: da un estremo siamo passati ad un altro, perdendo ancora la dignità di popolo.
Non dico che dovevamo batterci da eroi, secondo l'invito di un manifesto, dei giorni precedenti allo sbarco di Gela, che incitava “il popolo dei Vespri” a fare resistenza all'invasore, ma almeno a manifestare un minimo di amor proprio.
La gente comune in quei giorni non pensò tanto alla democrazia riconquistata, alla guerra che non era finita: il suo pensiero corse alla fine delle ristrettezze imposte dalla guerra, all’America che ci avrebbe aiutato. Eravamo sempre il popolo del "Viva Franza, viva Spagna, purché se magna".
Un’altra icona del momento era mastru Jabbicu Profeta, che era stato negli USA e di lì aveva portato la bandiera a stelle e strisce che custodiva nel cassetto do cantaranu. Egli teneva pronta una stelletta per il grande giorno dell’arrivo di Joe, John e Sam. Egli abitava sul corso Garibaldi, (pochi giorni dopo, il 25, la sua casa sarebbe stata bombardata dai tedeschi); quella mattina era appena tornato dal Giurfo in concomitanza con  i miricani e s’affrettò ad aggiungere, finalmente, alla sua bandiera la 49^ stella.
Non era il solo, tant’è vero che ebbe subito presa l’idea del M.I.S., il Movimento Indipendentistico Siciliano, foraggiato da agrari e mafiosi, che, con la scusa di far passare la Sicilia  dall’Italia agli States, miravano a liberarsi da un’autorità nazionale che in certo modo li imbrigliava.
Arrivarono con gli americani caramelle, cioccolati, gomma da masticare, carne in scatola, Lucky Strike e Chestelfield. Pian piano ci siamo americanizzati, più nel male che nel bene, con la benedizione di tutte le istituzioni morali e religiose.
I ragazzi correvano appresso alle camionette e ricevevano tutte quelle belle cose.
Io sono stato sempre un timido, per natura. Vedevo tutti con le mani piene, ma non osavo farmi avanti. Finalmente mi feci coraggio e tesi pure io la mano: un soldato di colore depose il suo dito sul palmo della mia mano e alla mia sorpresa cominciò a sghignazzare. Arrossii e mogio mogio girai i tacchi, mortificato al punto di voler sprofondare. Quella lezione mi servì: non ho teso mai più una mano nella mia vita!
I ragazzi più grandi di me, ma quelli che ci sapevano fare, colsero al volo quali potessero essere gli appetiti dell’”invasore” e subito si diedero da fare per renderseli amici generosi; non conoscevano l’inglese, dai fumetti (quelli d'argomento anglo-sassone erano proibiti) avevano imparato  “señorita” e s’arrangiarono, offrendo: - Senorita fik fik…. Senorita fik fik…
Quelli capivano, i ragazzi più intraprendenti saltavano sulle jeep e li accompagnavano in casa delle mondane locali, che in quei tempi, prima della legge Merlin, praticavano apertamente.
« Ultima modifica: 10 Dicembre 2007, 21:41:43 da osvaldo » Registrato

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« Risposta #41 inserita:: 11 Dicembre 2007, 09:40:57 »

ci hai fornito un informazione importante, hai parlato di soldati di colore, erano molti?
o meglio,
i primi in  ricognizione erano penso bianchi,

mentre i neri sarebbero arrivati dopo?

è una strana domanda, ma poi vi spiego perchè
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« Risposta #42 inserita:: 19 Dicembre 2007, 00:42:15 »

I tre soldati della via Milano erano bianchi. Era una piccola percentuale quella di colore, ma sono venuti tutti insieme. La maestra Gallo di Palermo ma che insegnò a Villarosa per qualche decennio era affacciata alla finestra all'ultimo piano sopra il salone di Mimmo Laquatra.
Non so se c'erano pure a Villarosa, ma i pià feroci fra gli alleati erano un corpo di Marocchini che combinarono efferati soprusi di carattere sessuale...
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« Risposta #43 inserita:: 19 Dicembre 2007, 00:45:01 »

                                                                     25 LUGLIO 1943

Avevamo lasciato le grotte, gli anfratti, le gallerie e i buchi delle miniere ed eravamo tornati a casa. L’invasore ci stava bene perché faceva star bene. Scoprimmo che i soldati americani erano in buona parte figli o nipoti di siciliani e parlavano, un antiquato dialetto siciliano. Mio padre aveva conosciuto per caso un giovane soldato siculo-americano di Pittsburg, che abitava della stessa zona della città della sorella maggiore, solo che non la conosceva. Mi padre diede a lui un appunto per rintracciarla ed assicurarle che stavamo bene e non avevamo subito danni.
La situazione di Villarosa era la stessa d’ogni angolo della Sicilia; i tre soldati che percorsero la via Milano sereni e tranquilli come se passeggiassero avevano avuta l’esperienza positiva dei paesi “conquistati” prima. Anche in quelli c’erano stati tante Impurtise, tanti mastri Jabbicu Profeta e tanto giubilo di popolo.
Gli americani in Villarosa s’erano accampati o cantìri, il cantiere delle case per gli zolfatai, abbandonato allo scoppio della guerra, nello spiazzale ove oggi sorge la scuola Villanova e l’Asilo Nido, mai entrato in funzione.
Io non andai mai da quelle parti, prima perché non ero di quelli che andavano in giro ed anche perché già San Calogero a quel tempo era considerato lontano. Prudenti come me altri non erano, fra questi Fifuzzu Lentini, di nove anni come me, figlio d’un amico di mio padre. In quel posto Fifuzzu trovò la morte; si disse che fu ferito mortalmente dallo scoppio d’una bomba a mano, ma persone che videro il cadaverino affermarono che la ferita alla testa era tipica d’un colpo di fucile: pare che sia stato sparato da un soldato ubriaco. In quei giorni da una jeep ferma sul corso Garibaldi la maestra Gallo, affacciata ad una finestra, per poco non ci restava secca per via d’una fucilata sparata da un soldato di colore, senz’altro pure ubriaco.
Fra cioccolati e caramelle si trovavano anche avventati colpi di fucile.
Al far dell’alba del 25 luglio, il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciava Mussolini e nella stessa mattinata il Re lo faceva arrestare.
Di tutto questo i Villarosani non seppero niente; le poche radio che c’erano in paese  non potevano funzionare per mancanza assoluta di energia elettrica.
I cittadini ignari e sereni s’apprestavamo alla meglio a celebrare la prima domenica del nuovo corso.
Erano le 13,15 circa, io con mio padre ci trovavamo sul corso Garibaldi, nei pressi delle Società Umberto I, che allora sorgeva fin dalle origini dove oggi sorge la farmacia Carletta, quando si scatenò un pauroso bombardamento; ci addossammo al muro con la paura che lascio immaginare. Appena cessarono gli orribili scoppi e ci girammo per scappare verso casa, vidi il corso immerso in un fitto polverone.  Non era il momento di fare domande e così mi sono data una risposta: credevo che fossero stati gli Americani a prenderci a cannonate…
Erano stati invece bombardieri tedeschi che cercavano senz’altro di colpire o cantìri l’accampamento dei soldati americani, senza centrarlo per niente.
Una bomba caduta verso il convento uccise un signore,  mi pare si chiamasse Lombardo, che s’era sposato il giorno prima. L’altra bomba cadde su una casa sul corso, dove fino a pochi anni fa era proprietà della famiglia Palermo; allora vi abitavano due vecchietti, mi pare Cusimano, che dal secondo piano si trovarono al primo per il crollo del pavimento, illesi. Il danno maggiore la bomba l’ha fatto dirimpetto: erano al balcone il signor Pietro Patti con la figliola dodicenne, ambedue uccisi; al balcone a fianco fu ferito ad un polmone il mio coetaneo e amico, Michele Vitello.
Gli unici segni di quella maledetta bomba oggi sono ben visibili sulla facciata in cotto di fronte, sul limite con la via Capponi.
Le vittime civili di tale bombordamento furono 7 e i feriti 25.
« Ultima modifica: 22 Dicembre 2007, 19:51:44 da osvaldo » Registrato

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« Risposta #44 inserita:: 19 Dicembre 2007, 09:05:21 »

le truppe che tu citi erano chimati goumiers ed erano al soldo dei francesi,

ma tu li hai visti passare da Villarosa?
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