Home arrow Gallerie arrow Foto del mese arrow La foto di maggio
sabato 27 aprile 2024
Benvenuto Visitatore.






Password dimenticata?
Non hai ancora un account? Registrati
Chi è online
Abbiamo 1 visitatore online
Statistiche
Visite oggi: 0
Visite totali: 272320
Feed RSS di Villarosani.it
Social Bookmark
Aggiungi Villarosani.it a: Digg Aggiungi Villarosani.it a: Del.icoi.us Aggiungi Villarosani.it a: Yahoo Aggiungi Villarosani.it a: Blogmarks Aggiungi Villarosani.it a: Technorati Aggiungi Villarosani.it a: Smarking Aggiungi Villarosani.it a: Google Cos'è il Social Bookmark?
Annunci Google
La foto di maggio PDF Stampa E-mail
Scritto da Staff   
martedì 01 maggio 2007

Quando parliamo di minatori a Villarosa la mente corre allo zolfo, al boom dell’800 e alla crisi del dopoguerra. Riguardando la foto si ricordano le migliaia di minatori villarosani partiti dopo la fine della seconda guerra mondiale verso il Belgio, dove nel corso dei 50 anni a venire andranno a costituire una delle comunità più stabili del regno. La foto di questo mese ci porta il loro ricordo.

Ma la loro storia ha un inizio storico, il loro sacrificio, il loro sudore e la loro tragedia hanno un prezzo onorevole. La partenza delle migliaia di villarosani, insieme ad altre centinaia di migliaia di italiani, contribuirà indirettamente a far rinascere l’Italia dalla pesante distruzione della guerra. Nel ’46 la nostra giovane Repubblica siglò con il Belgio l’accordo uomo-carbone. Il Belgio distrutto dalla guerra doveva estrarre il carbone dal suo ricco sottosuolo, ma i belgi non avevano alcuna voglia di scendere nelle viscere della terra a rischiare la vita dove prima provvedevano i prigionieri di guerra. Fu cosi che il bisogno di energia dell’Italia e quello di manodopera del Belgio confluirono nell’accordo del 1946 che prevedeva l’invio di un contingente iniziale di 50.000 italiani che sarebbero diventati 100.000 nel giro di un anno. In cambio l’Italia poteva comprare il carbone necessario alla sopravvivenza del Paese. L’accordo vide la firma di De Gasperi con l’esplicita approvazione di Togliatti e Nenni. Fu cosi che in Italia partirono le campagne di reclutamento degli aspiranti minatori che avrebbero raggiunto il Belgio. […]

L’Italia si era impegnata a fornire 2.000 uomini a settimana e cosi fu. Si arrivava a Milano e da qui in treno per 72 ore sino a Charleroi.

Il viaggio era più vicino a quello dei deportati che a quello di un gruppo di emigranti. Vagoni senza servizi igienici e senza riscaldamento. Era questo il massimo che le Ferrovie italiane potevano fornire in quegli anni. Le famiglie? Le famiglie nella fase iniziale non potevano emigrare. Gli italiani erano considerati di serie B, non assimilati ai lavoratori belgi, per cui solo dopo una permanenza duratura avrebbero potuto chiamare le proprie famiglie. […]

A destinazione, solitamente in una caserma della Gendarmeria, venivano disinfettati e quindi inviati ai propri alloggi. In Belgio faceva freddo e i nostri paesani non avevano coperte o cappotti per superare gli inverni rigidi della Vallonia. […]

I primi villarosani giunti in Belgio in quegli anni parlano di alloggi ricavati nelle camerate di diversi campi di prigionia dell’ultima guerra. Durante la seconda guerra mondiale si erano alternati in quelle baracche prima russi e polacchi e poi tedeschi. A guerra finita nei medesimi ambienti vi finirono gli italiani. Alcuni villarosani raccontano anche di cantine nelle quali venivano alloggiati in quanto il posto in queste baracche non era sufficiente. 

La vita fuori dalla miniera era misera. I soldi del salario servivano a sopravvivere e inoltre la lingua francese non era conosciuta ai più. Gli italiani erano puntualmente insultati con diversi appellativi “musi neri”, “fascisti”, “maccaroni”. L’integrazione con i belgi era quasi nulla. In questo modo i villarosani fecero comunità in quel luogo che voleva isolarli. Si vedevano a fine turno, si riunivano nelle baracche o presso i primi alloggi che vennero assegnati anche nei villaggi vicini.

La vita lavorativa non facile nelle miniere, con condizioni estreme e senza sicurezza, costrinse molti villarosani a fare dietro-front e a chiedere di tornare in Italia. Ma questo non era possibile, se non a certe condizioni. Per cui in molti fuggivano da Charleroi e si avviavano verso Bruxelles o Namur dove venivano quasi sempre presi dalla Gendarmeria che gli dava la scelta di restare o tornare in Italia, ma non prima di aver scontato una pena detentiva in carcere di 5 anni. Il contratto doveva essere rispettato. […]

Il lavoro nelle miniere non era facile; era duro, si lavorava su turni massacranti, la profondità dei pozzi, il tipo di lavoro, anche per chi era minatore a Villarosa, fu uno shock difficile da superare. Spesso in miniera si moriva come nella tragedia di Marcinelle nel 1956. Ma un dato fra tutti, del 1953, deve lasciar riflettere: erano infatti già 200 le vittime italiane nelle miniere di carbone tre anni prima della tragedia che renderà famoso il lavoro italiano nel mondo e poco si era fatto per aumentare la sicurezza dei minatori.

Nel 1948, almeno da un punto di vista della vita familiare era avvenuta la svolta: si poteva emigrare con la famiglia. Le grandi baracche degli ex campi di prigionia vennero ben presto modificate per ricavarvi alloggi familiari dando la possibilità agli italiani di vivere con le proprie famiglie limitando di fatto le fughe e l’impatto negativo dell’allontanamento dal proprio Paese.

In quelle baracche attorno a Charleroi si costituì la prima comunità villarosana.  C’erano scuole, la chiesa e soprattutto si lottava per tenere vivo il ricordo del proprio paese celebrando in piccolo le feste patronali.

I minatori al rientro dai turni di lavoro ritrovavano almeno un quadro familiare che aiutava il morale. Questa concessione venne accompagnata anche dalla possibilità per i ragazzi di età non inferiore ai 14 anni di entrare in miniera. Fu cosi che nacquero le prime famiglie di minatori in grado di racimolare il denaro sufficiente al rientro in Italia o meglio ancora all’acquisto di una casa nei paesi attorno al bacino carbonifero di Charleroi. […]

Così con il sacrificio di questi nostri paesani che abbandonarono miseria e povertà rinacque l’Italia del boom ed a migliaia chilometri di distanza si creò una nuova Villarosa. Chi emigrava sognava di tornare, ma la gran parte come accaduto nelle ondate migratorie precedenti, resterà in Belgio. […]

Dal 1946 al 1958 emigreranno in Belgio 140.000 uomini, 17.000 donne e 29.000 bambini, successivamente l’ondata di emigrazione resterà costante e dalle miniere l’interesse dei villarosani si sposterà anche su altri mestieri altrettanto pesanti come le fonderie che erano appannaggio di chi scappava dalla fame del latifondo e dalle campagne. La comunità troverà i centri principali di insediamento a Liegi, Charleroi, La Louviere, Verviex e naturalmente Morlanwelz, ma nessuna città belga resterà esente dalla presenza di cittadini villarosani.

Per gentile concessione a Villarosani.it da Sergio Distefano
Tratto da Cronache Villarosane, 2006, Sergio Distefano ogni diritto riservato. ©

Commenti...

 
<< Precedente   Successiva >>
 
Alcune semplici regole da seguire per entrare a far parte di Villarosani.it
Le origini e la storia di Villarosani.it
Hai bisogno di assistenza? Vuoi darci un consiglio? Scrivici!
Rassegna stampa degli articoli riguardanti Villarosani.it
La storia, la geografia ed altre informazioni utili per conoscere il piccolo centro nel cuore della Sicilia.
 
© 2024 - Villarosani.it - Tutti i diritti riservati.

Benvenuto in Villarosani.it, il primo portale per i villarosani. Se non sei villarosano sei comunque il benvenuto!
Comune di Villarosa (Provincia di Enna - EN) -C.A.P. 94010- dista 101 Km. da Agrigento, 29 Km. da Caltanissetta, 117 Km. da Catania, 20 Km. da Enna, alla cui provincia appartiene, 213 Km. da Messina, 141 Km. da Palermo, 165 Km. da Ragusa, 192 Km. da Siracusa, 240 Km. da Trapani. Il comune conta 6.162 abitanti e ha una superficie di 5.501 ettari. Sorge in una zona collinare, posta a 523 metri sopra il livello del mare. L 'attuale borgo nacque nel 1762 ad opera del nobile Placido Notarbartolo. Fu sempre centro economico molto attivo, in particolare nel XIX secolo quando vennero rese funzionanti numerose miniere zolfifere presenti su tutto il territorio. Nel settore dei monumenti è importante ricordare la Chiesa Madre del 1763 dedicata a S. Giacomo Maggiore. Rilevanti sono pure Il Palazzo S. Anna, il Palazzo Ducale e l'ex Convento dei Cappuccini entrambi del XVIII secolo.