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Autore Discussione: Le poesie di Vincenzo De Simone  (Letto 53152 volte)
niki


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« Risposta #15 inserita:: 17 Gennaio 2008, 12:55:49 »

bisognerebbe informarsi, è giusto che sia ricordato e fatto conoscere, sia alla gioventù del paese, sia a quelli che vivono fuori e anche a chi non è di Villarosa

Bene lalla, allora ti diamo questo incarico per l' informazione e poi ci fai sapere.Grazie anticipato Braaavo!
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« Risposta #16 inserita:: 03 Febbraio 2008, 13:09:15 »

vorrei, oltre che di poesie, raccontare qualche curiosità sul nostro compaesano Poeta illustre vate
cosi scavando in alcuni appunti che avevo preso a villarosa
tempo addietro,
mi risulterebbe che il poeta avesse due congnomi
il nome completto dovrebbe essere:

Vincenzo De Simone Candrilli

ovviamente chiedo conferma a voi utenti, ma la notizia è fondata
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« Risposta #17 inserita:: 09 Febbraio 2008, 00:46:43 »

inserisco su questo spazio una poesia di vincenzo de simone conosciuta da tutti noi...

Dintra 'na conca sutta 'na muntagna
'ntra dù ciumi, unu amaru e l'autru duci,
cc'è un paiseddu ccu li strati 'n cruci
e tanticchia di virdi a la campagna;
'ntra ripa e ripa la terra siccagna
di centu rarità frutti produci,
di jornu fumichìa, di notti luci
e 'ntra li 'nterni sò chianci e si vagna.




(Da Bellarrosa terra amurusa)

io ricordo un'altra strofa...(scusate il dialetto scritto...):

chissa è la terra mia lu me paisi
riccu di canti e liccu di maisi
ci nasceru li mi nanni
ci nasceu ui ca era lu misi di novembri
e ora fa li cinquant'anni.


ricordo male...o mi sto confondendo con altre poesie...?
sono ricordi delle scuole elementari...
« Ultima modifica: 11 Febbraio 2008, 14:07:11 da saby » Registrato

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« Risposta #18 inserita:: 09 Febbraio 2008, 00:58:10 »

VINCENZO DE SIMONE (Poeta)
Vincenzo De Simone nacque a Villarosa (EN) il 19 novembre 1879. A soli dieci anni si trasferì a Catania con i genitori ed i suoi numerosi fratelli dove completò gli studi, laureandosi in medicina ' per rispetto alle tradizioni di famiglia '. Nel periodo dei suoi studi era solito trascorrere le vacanze a Villarosa e, quando si trasferì a Milano, dove esercitò la professione di medico, conservò sempre nel cuore un battito per la sua Villarosa, che cantava come fosse presente, ricordando le bellezze della sua terra e descrivendo i costumi del suo paese e della Sicilia in versi e in prosa. Come scrisse Raffaele Grillo nel decennale della sua morte: ' Nella sua casa milanese di piazzale Argentina, si davano convegno i migliori ingegni siciliani residenti nella metropoli lombarda e la sua casa era sacra al culto della sicilianità '.


Molte sono le sue opere in italiano e in siciliano, conosciute in tutto il mondo. In Francia il poeta Armand Goduy tradusse nella sua lingua poesie del De Simone; il quale a sua volta tradusse in italiano opere dello stesso Goduy e di altri poeti stranieri, come Heine e Mistral. Il De Simone pubblicò anche opere di ispirazione mistico-religiosa; nell'anno francescano volse in sonetti siciliani < I Fioretti di San Francesco >. Altre opere in dialetto da ricordare sono: < Bellarosa, terra amurusa, A la riddena, La Funtana, Canzuni a lamentu > tutte opere la cui caratteristica peculiare è un sospirare nostalgico alla sua madre terra Bellarosa di cui sentiva il fascino e l'attrattiva, accompagnata dall'odore di zolfo, che caratterizzava questo paese attorniato da miniere. Tra i rumori della metropoli percepiva dolce il richiamo del suo campanile, del suo cielo, dei suoi concittadini di cui espose usi e costumi nel suo libro di narrativa << Bellarosa: uomo serio! >>.


Morì a Milano il 12 aprile 1942. Qualche anno dopo i poeti dialettali offrirono al Comune di Villarosa un busto in bronzo, che fu collocato sopra una stele di pietra lavica nella Piazza Vittorio Veneto; attorno al monumento fu creata una villetta in omaggio al valore poetico dell'illustre concittadino. Al poeta Vincenzo De Simone è intitolata la Scuola Media di Villarosa.





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« Risposta #19 inserita:: 09 Febbraio 2008, 09:43:42 »

un illustre informatore  e frequentatore del sito mi ha confermato che il poeta, come si usava allora, aveva due cognomi,
De Simone Candrilli
Candrilli era il nome di famiglia della mammma
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« Risposta #20 inserita:: 09 Febbraio 2008, 11:39:45 »

Picciotti,non voglio essere critico con nessuno, ma forse la lontananza da Villarosa vi nasconde la profonda crisi in cui esso si riversa, e credetemi non ho mai visto Villarosa in queste condizioni penose.Sono d'accordo con voi con il ritorno alle tradizioni,ecc.....soprattutto avete citato il premio Vincenzo De Simone che ormai non si celebra più da anni!!!Ecco, io mi chiedo quello splendido paese descritto dal poeta nei suoi meravigliosi sonetti esiste ancora?Ditelo voi!
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« Risposta #21 inserita:: 09 Febbraio 2008, 12:13:48 »

Si, esiste ancora... siamo noi villarosani che ci siamo ormai convinti (non so perchè) che il nostro paese è brutto, e quello che è grave è che la nostra idea la trasmettiamo anche fuori!!!
Riscoprire la tradizione, come quella poetica di Vincenzo De Simone, può essere un'occasione per risvegliare l'amore per il nostro paese.... Bravo shark per avere aperto questa discussione... Applauso Sicilia!
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« Risposta #22 inserita:: 09 Febbraio 2008, 13:25:46 »

..il nostro paese non è brutto...siamo noi a renderlo brutto...con la nostra staticita',con la poca voglia di fare ( tanto c'è sempre qualcuno che a posto mio ha il dovere di fare...perchè dovrei io...?classica mentalita' villarosana)...
...basterebbe una minuscolo inizitiva da parte di ogniuno di noi..per rendere "u paiseddru cu li strti in cruci" migliore...(penso)
ovviamente tanti altri fattori...che non ci pioveranno dall'alto...
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« Risposta #23 inserita:: 09 Febbraio 2008, 21:58:54 »

Ragazzi, tornando da fuori il paese è sempre lo stesso!
Bello come una volta!

Sono le persone che mancano... le persone che lo tenevano in "vita".
I "personaggi" che sapevi dove trovare e a tutte le ore.
Le "vanniate" nei pressi dei bar... cu ccu vannii se non c'è nessuno !!! Fare iniziative ... si ma per chi?

Non so se vi siete resi conto che se ne sono andati tutti, pure quelli che nemmeno l'avresti mai detto che se ne andavano...

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« Risposta #24 inserita:: 10 Febbraio 2008, 13:53:56 »

C'è ancora qualcuno che ragiona....
Forse vi sembra che io voglia seminare pessimismo.Vi sbagliate!Io sono ancora uno dei combattenti del paese, ma tutto questo non basta. Se volete sentirvi dire che Villarosa rifiorirà, beh, sognare non è reato.
Io continuerò a battermi per migliorare le cose,sempre,fino a quando non me ne dovrò andare anch'io.
Spero di non essere solo in questo, ma ne dubito parecchio.


Beh....in ogni caso sarò il primo a proporre il ritorno del premio V. De Simone,promesso.

Matri accussì ti cercu, e tu m'abbannuni
lu meli di li vivi e di li morti,
e li fragranzi di l'antichi munni.
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« Risposta #25 inserita:: 10 Febbraio 2008, 14:08:57 »

l'argomento è de simone vi prego di attenervi al tema
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« Risposta #26 inserita:: 19 Febbraio 2008, 20:48:11 »


NON M'ERO ACCORTO CHE ESISTEVA UNO SPAZIO DEDICATO A DE SIMONE, COSI' RICOPIO AL SUO POSTO GIUSTO QUANTO HO INSERITO PRIMA (Penso che, in questo caso, repetita juvant)

Propongo all'attenzione dei Villarosani tutti ed in particolare a quanti vivono lontano dalla nostra terra, questa poesia del nostro più illustre emigrato, che rivive in questo carme tutta la villarosanità dei sentimenti e dei luoghi, magici soprattutto per chi ne sta lontano.

                                     LUNTANU E PRISENTI      da “A  LA  RIDDENA”     di Vincenzo De Simone


Gnàziu, chi fu, chi ti nisciu lu senzu
ca ti 'mmintasti ca campu luntanu
di sta Sicilia mia, ca sempri penzu,
e la portu, unni sia, 'n chianta dì manu?
Ad idda addumu lampi e sbampu 'ncenzu,
comu ca forra lu so sagristanu;
Gnàziu, e pi 'nzina ca sugnu Vicenzu,
nuddu m'avanza a stu focu supranu.

Sugnu furestu, sì, campu a Milanu,
ma haju lu cori sempri a Bellarrosa;
unni me nannu si 'nzignau viddanu,
e d'ogni spina si jhiuriu 'na rosa;
unni l'amanti a lu Cozzu e a lu Chianu
vanu cantannu canzuni di sfrosa;
e cu’ si stanca di lu so Carvanu,
acchiana a lu Cummentu, e s'arriposa.

Ch'è beddu. Gnàziu miu, lu me paisi,
‘mmenzu a li vuddi e 'mmenzu a li surfari;
ccu li pirnici 'ntra ripíddi e ddisi,
e li palummí bianchi a li chiarchiari;
a dritta e a manca fèura e maisi,
fruttiti, sipalati ed olivari;
e a cu' cci veni, ca 'un havi pritisi,
amuri e pani 'un ci nni fa mancari.

E si vidissi, Gnàziu, 'ntra giugnettu,
chi festa granni supra l'àira tunna;
li muli, ca cci dùnanu di pettu,
e lu turnanti ca li gregni arrunna;
lu caccianti ca canta lu muttettu,
lu suli ca la vampa ccì l'abbunna;
e lu gricali ccu lu friscalettu,
ca spàglia l'oru, e lu munzeddu attunna.

Guarda lu còcciu di stu furminteddu
a la tradenta di st'òmini magni:
e guarda a ddu funnali Muncibbeddu
a la sdossa di tutti li muntagni;
guarda la Pitralìa, ca fa casteddu,
e Ganci 'n facci, ca cci fa li 'ncagni:
guarda lu Sarsu e lu ciumi Mureddu,
ca stenni la spicchiera a li campagní.

E quannu annotta, Gnaziu, unni la senti
’n’orchestra, comu a chista, e st'armunia?
Tutti li stiddi a li so' firmamenti,
la luna, ca va annannu, e guarda a mia;
li papanzichi ccu li so' sturmenti,
lu jacobbu, luntanu, ca picchìa;
e li cani, ca abbàjanu a li venti,
pi dari sfogu a la so fantasia.

E 'ntunnu 'ntunnu ‘ntra timpi e sbalanchi
li paisa, ca lùcinu a puddara;
l'Armena, e Resuttana a li so' manchi,
e San Catallu dintra la quadara;
Cartanisetta ccu li gìglia stanchi,
Petrapirzia appisa a la ruccara;
e la Serra, scruscenti a li lavanchi,
c’accorda li suspira a la jhiumara.

Gnàziu, li senti sti vuci e sti chianti,
ca gridanu piatà di suttaterra?
Li surfarara su’, li nostri santi,
ca nun hannu 'nnimici e sunu ‘n guerra;
trapàssanu la vita a li vacanti,
la morti li smacedda e si l'afferra;
Gnàziu, li senti st'armuzzi vramanti,
pi crucifizziu  di la nostra terra?

Ma nesci a l'àiru, e guàrdati st’arbura
‘ntra celu e celu, senza nudda tacca;
Gnàziu, guarda la terra, ca sbapura,
senti lu gaddu, ca la notti assacca;
la lòdana, ca a l'àutu s'abbalura,
e canta a Diu senza nudda stacca;
salutamu lu re di la natura,
ca codda a mari e a li muntagni spacca.

E guarda ancora, Gnàziu Buttitta,
Castrugiuanni e poi Calascibbetta;
e l'Artisina ccu la so burritta,
e munti Giurgu ccu la so scupetta;
guarda tutta sta terra biniditta,
ca sempri chiama, e ammàtula m'aspetta;
ed ora ca guardasti, canta e pitta,
comu l’òcchiu ti joca e l'arma detta.
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Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me. Emanuele Kant
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« Risposta #27 inserita:: 19 Febbraio 2008, 21:08:00 »

Mi sono servito del MURO per far conoscere questo grande sonetto, A mezzannotti.
Sul MURO i nostri scritti durano in visione più a lungo e non sono subito sommersi da altri topic (si chiamano così?). La poesia non avrebbe bisogno di commento in quanto si intuiscono i termine siciliani anche se essi sono lontani dei nostri giorni, ma voglio far presente alcuni particolari. Il tempo descritto è quello antecedente alla mia nascita, in quanto si parla ancora dei lampioni ad olio: la corrente elettrica arrivò a Villarosa nei primissimi anni ’30 e a Villapriolo dopo la seconda Guerra Mondiale.
A mezzanotte, ed anche a mezzogiorno, l’orologio della torre in piazza, e questo fino a tutti gli anni ’50, batteva 100 colpi. Gli orologi, oggi sono comunissimi ma allora quello della piazza era , insieme alle campane, il riferimento della gente comune e scandiva i momenti della giornata, della nottata e dava l’ora di alzarsi per andare a lavorare. I lampioni erano un picciu, cioè una debole luce. Le immagini sono bellissime: la luce d’una finestra che si spegne e d'un’altra si ode il rumore della chiusura. Gatti che errano sui tetti e cani che vagavano per cercare cibo. Colla fioca luce d'allora le stelle erano ben visibili nel firmamento e nel silenzio della sera inoltrata, privo di motori o televisori, si udiva il gocciolare dell’acqua do cannuliddu, che era la fonte d'acqua della stragrande parte del paese, e il dolce rumore quasi conciliava il sonno agli abitanti della zona intorno.
E poi, un altro mondo scomparso, le serenate, fatte con strambotti alla villarosana, accompagnate dal marranzano sotto la finestra della donna desiderata.
Su questo argomento rimando ancora al muro ove giorni fa ho letto un canto popolare inserito da un utente, A la surfarara.

         A mezzannotti

È mezzannotti, e lu raloggiu batti
centu mazzati una 'nconttra una;
'n facci a lu pìcciu di li lampiuna
'na finestra s'astuta, e n'autra sbatti.

Pinzirusi passianu li gatti
supra lu spicu di li curniciuna;
li cani, rastiannu agnuna agnuna,
dunanu a chiddu ca ccci ammatti ammatti.

Ascutu: 'ntra lu scuru ca si fedda,
li stiddi 'nfittinianu, e la funtana
annaca lu sunnuzzu a la vanedda;

mentri a l'adenzia di la faranzana,
lu 'ncantaturi si 'ngulia la bedda
ccu li strammotti a la Bellarrusana.


           
« Ultima modifica: 19 Febbraio 2008, 21:12:12 da osvaldo » Registrato

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« Risposta #28 inserita:: 19 Febbraio 2008, 21:49:24 »

Bella davvero quest'ultima poesia!!
Senza però la tua introduzione penso che non avrei capito bene il senso di tutte le strofe....  Linguaccia
GRAZIE COME SEMPRE DI CUORE OSVALDO!!!! Grande!
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« Risposta #29 inserita:: 19 Febbraio 2008, 21:56:41 »

questao revival poetico mi affascina bravi
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